AGGIORNAMENTO MERCATI: quello shock di Trump


La reazione dei mercati agli annunci dell'introduzione dei dazi da parte di Trump ha il sapore amaro di una consapevolezza ormai diffusa che per le economie mondiali saranno tempi duri. 
Che le esigenze di fare cassa da parte dell'amministrazione statunitense fosse giunta al dunque non è una novità, che i provvedimenti per conseguirla dovessero essere così bruschi, allo stesso tempo, non erano così scontati.
I timori del mercato si trasformano in paura. La narrativa ricorrente afferma tutte cose giuste e plausibili: lo spauracchio dell'inflazione che torna minacciosa, i commerci che impoveriscono Paesi e aziende attive nell'export, il protezionismo che allontana collaborazioni transfrontaliere e consumi. 
Di tutto questo ne parlano già in tanti, a noi interessa capire le ragioni di questa apparente follia e le risposte di un mercato nei prossimi mesi, al momento in forte difficoltà.
La semplificazione riconducibile al delirio di un singolo uomo ci pare la versione più riduttiva ed inutile. Non nasce infatti con Trump la pianificazione politica ed economica del paese più influente e potente della terra. Il controllo che gli USA hanno esercitato sul pianeta dal dopoguerra ad oggi resta l'obiettivo principale di tutte le amministrazioni americane presenti passate e future. 
Cambiano soltanto le modalità con cui tali obiettivi devono essere conseguiti. Se un tempo attraverso la globalizzazione gli Stati Uniti potevano assicurarsi ricchezza e lealtà da parte di quei Paesi cosiddetti “gregari”, da un po’ di tempo però si sono accorti che tale equilibrio rischiava di essere meno efficace. Economie un tempo emergenti hanno lanciato la sfida verso un cammino di crescita meno dipendente e più evoluto. 
Il controllo delle materie prime, indispensabili a mantenere il primato sui prodotti del futuro, nonché il controllo di porti e stretti nevralgici per il dominio dei commerci internazionali hanno condizionato drasticamente l'atteggiamento della Casa Bianca nell'ultimo decennio.

E allora chi meglio di Trump poteva dare un taglio ostile e raccogliere il piu possibile dalle trattative internazionali su questi temi? 

Il passo di questi giorni è quello del pugno duro. 
Quello con cui si inizia se sei un negoziatore in posizione di forza.
A questi obiettivi di lungo termine si sommano anche quelli di breve. Gli USA sono arrivati a un punto in cui emettere nuovo debito per finanziare la loro crescita comincia ad essere estremamente delicato. La necessità di rimpolpare le casse pubbliche si è fatta stringente e i dazi rappresentano una fonte di denaro importante per un paese che vede nei consumi il principale responsabile della propria crescita; come lo sono i tagli alle spese militari là dove gli Stati Uniti non sono direttamente coinvolti. 
I dubbi che questo possa essere il cammino giusto ovviamente li abbiamo tutti. Ma sul fatto che il bilancio pubblico nel breve possa beneficiarne credo sia fuori discussione. Con tali risorse Trump intende rifinanziare le imminenti politiche fiscali in scadenza e questo ambizioso programma rappresenta l'elemento su cui più confida il suo elettorato. 
Credo sappia lui stesso che non gli sarà più concesso deludere gli americani, se non vuole presentarsi alle elezioni di midterm con un sostegno traballante delle forze repubblicane. Sfiducia e panico potrebbero avere una battuta d’arresto da un momento all’altro, anche se temiamo che i malumori non si dissiperanno con tanta facilità nel breve…
Non crediamo però nella follia di un singolo uomo, soprattutto se si trova a capo di una superpotenza, che continua a distanziare gli altri Paesi per crescita, consumi e ricchezza.
Ma ovviamente la domanda principale per noi risparmiatori è quanto pagheranno i mercati alla luce di tali politiche?
Ci sono momenti che ci allontanano dalle utili letture statistiche e tecniche con le quali siamo soliti fare le nostre previsioni e costruire gli asset. Siamo di fronte, infatti, al classico caso di shock esogeno per economie e mercati finanziari. 

Questo che significa? 

Banalmente che saltano molte metriche e ci addentriamo in un territorio inesplorato dove l’unica cosa che non manca è il panico, come sempre.
Proviamo però a individuare degli elementi comuni con gli shock del passato. 
Senza arrivare fino al 1929, che peraltro non ha nessuna analogia con l’attuale scenario, ci si può soffermare sul lunedì nero del 1987, sulla crisi delle dotcom del 2000-2001, quella bancaria del 2008, il 2020 del Covid e l’impennata dei tassi del 2022. Tutti eventi violenti e “fuori programma” che sorpresero oltremisura i mercati. 
L’elemento comune a tutti è quello che ciò che spaventa e non ha una chiara lettura porta all’unica cosa da fare. Vendere. 
Il recupero successivo è poi legato alla concreta e convincente speranza nel futuro, oltre che a politiche monetarie più o meno immediate
Quanto si debba attendere per tornare a sperare rappresenta la fase del trend ribassista. 
Capite quindi che formulare ora previsioni è del tutto infondato. Qualche rimbalzo intervallato qua e là non ci distoglie dal pensiero che si dovranno toccare nuovi minimi. 
Per i più audaci: non fatevi prendere dalla frenesia di entrare troppo presto.
Per i più cauti: la volatilità non vi spaventi 

Tutto ciò che però ha sempre caratterizzato queste fasi è che da i minimi emergenti da uno shock si sono sempre create opportunità di guadagno importanti. Sarà fondamentale ovviamente aumentare i pesi azionari per coglierle e occorrerà farlo con convinzione anche se intorno ci sarà ancora informazione contraria e sfiduciante. 

È sempre stato così e lo sarà ancora. 
Avremo l’ennesima occasione di confrontarci con scelte difficili ma preziose.

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