AGGIORNAMENTO MERCATI: tracollo della globalizzazione e dell'eccezionalismo americano?
Tutti concordano ormai sull’epilogo del dominio economico americano e dell'egemonia del dollaro. Non ci è voluto molto perché tali conclusioni finissero sulla bocca di una larga maggioranza di operatori finanziari di tutto il mondo. In testa proprio Wall Street è passata dall'euforia post elezioni di Trump alla terribile consapevolezza che decennali equilibri economico commerciali venissero messi in discussione non è una scellerata e aggressiva politica dei dazi.
È possibile quindi che ci si trovi ad una svolta in cui il sottile equilibrio tra debito e consumi americani possa subire pericolosi contraccolpi difficili da gestire.
Il benessere e il consumo sfrenato sono alla base di una comune convinzione del popolo a stelle e strisce di come possa ritenersi grande un paese. Dietro una patina di retorica democratica dal dopoguerra sino ad oggi, gli Stati Uniti, senza farsi troppe domande, hanno usato il nobile processo di globalizzazione per assicurarsi il dominio economico. Hanno perciò strutturato la loro economia e il loro sistema produttivo colonizzando molti Paesi in via di sviluppo per anni.
La delocalizzazione produttiva dei colossi aziendali occidentali ha un perno pressoché inscalfibile che si basa sul contenimento dei costi produttivi. Finché il reddito di Paesi cosiddetti emergenti avrà un gap negativo notevole nei confronti di quelli sviluppati, il reimpatrio della produzione negli USA non sarà mai attuabile, nemmeno con tutti gli incentivi fiscali del mondo. Prendiamone atto senza dare adito a troppe fantasie.
Apple programma già da ora il travaso produttivo in India in risposta ai dazi verso la Cina non certo negli Stati Uniti.
La spinta ideologica nulla può in Occidente nei confronti del profitto.
L’atteggiamento attuale di Trump ha solo una possibile lettura: racimolare qualcosa ancora una volta senza tassare direttamente i cittadini. Ben vengano perciò i dazi, un po’ meno forse la loro modalità di introduzione…
Fin troppo evidente il rischio di recessione se la loro entità dovesse superare i limiti di una pacifica convivenza commerciale. Ancora più dannosa oggi è la totale incertezza frutto di una profonda discrepanza tra dichiarato e reale.
Una figura come quella di Trump non è di aiuto per delineare il futuro, nemmeno indossando la talare papale…
Ma siamo certi che la fuga dagli asset americani sia l’unica scelta possibile in grado di contrastare questa fase di incertezza? La strada della recessione è così inequivocabilmente segnata?
In 20 anni di professione poche sono state le certezze assolute nell’allocare i risparmi dei clienti, una di queste però è stata senza dubbio l’azionario americano. Di fasi critiche non ne sono mancate ovviamente, una sopra tutte è stata il 2008, ma forse onestamente anche l’unica. Lì gli USA hanno tremato per mesi prima di stringere un patto indissolubile con la FED e scongiurare la bancarotta totale. È lontano però quello scenario dall’attuale contesto.
Solo 3 mesi fa si parlava a gran voce dell’eccezionalismo americano come un fenomeno consolidato. Gli USA hanno nell’ultimo decennio inserito nel loro DNA il primato tecnologico a scapito di tutti i Paesi sviluppati. Unico neo maligno proprio la Cina, con dinamiche diverse, ma con vantaggi competitivi tipici di una dittatura fortemente motivata e meno complessa sotto il profilo sociale e giuridico.
Non dialogare con la Cina rappresenta un rischio enorme. Al logorio a cui questa civiltà è da sempre preparata l’Occidente non dispone adeguate misure.
Gli USA ci lasceranno nel breve non pochi grattacapi forieri di volatilità e probabili contraccolpi di mercato. Non dobbiamo però sottovalutare il potere di resuscitare e guidare la crescita globale ancora una volta, specie se lo strapotere finanziario e tecnologico è quotato (e controllato) a Wall Street.
Il recente rimbalzo ci offre il timing corretto per ribilanciare gli asset aumentandone la diversificazione geografica a danno soprattutto del dollaro, “non per sempre” però… suggeriscono il buon senso e la storia finanziaria.