AGGIORNAMENTO MERCATI: la svolta epocale
Non abbiamo mai apprezzato il giornalista che attira l’attenzione attraverso titoli scioccanti per poi non dire un granché nel suo articolo. Il punto però è che il mondo obbligazionario arriva da una crescita epocale dei propri valori che dura ininterrotta da 25 anni.
Le ragioni a monte di questo movimento hanno qualche labile fondamento su alcuni (obsoleti e fuorvianti) principi economici, secondo i quali l’abbattimento del costo del denaro si dovrebbe tradurre in aumento spontaneo degli investimenti del settore produttivo.
Ciò che però conta sempre (ed è un concetto trasversale) è ricercare la verità. La verità è che la domanda aggregata negli ultimi decenni è stata sostenuta prevalentemente dal debito, e i salari, o meglio la ricchezza pro-capite per soddisfarla, è drammaticamente finita nelle tasche di sempre meno persone. Diversi economisti hanno provato a palesare questa situazione (il recente saggio di Thomas Picketty “Il Capiltale” ne è un emblematico esempio) ma nessuno di essi si è mai trovato guarda caso in posizioni di potere…
Ora ci rimangono i risultati delle politiche monetarie espansive. E non sono certo confortanti. Gli USA, l’unico Paese che dava a inizio anno segnali di ripresa, nel terzo trimestre ha messo a segno un cocktail di dati non certo esaltanti: il Pil stenta a dare segnali di ripresa, nuovi posti di lavoro sotto le attese, indice manifatturiero risultato il peggiore degli ultimi 6 anni. A tal proposito riportiamo un approfondimento sui recenti dati macro nel nostro Focus.
Fino ad oggi la Fed ci ha fatto credere che il rialzo dei tassi potesse legarsi esclusivamente ad un miglioramento dei dati economici USA, da qui il recente (ennesimo) tergiversare. Ora che gli anni per valutare gli effetti del QE sono trascorsi cominciano a comparire i primi dubbi… Non sarà forse che i tassi nulli o negativi non solo falliscono nel loro intento di fornire una protezione temporanea nel caso in cui la recessione dovesse bussare alla porta, ma distruggono i principi basilari del capitalismo, quelli basati su un differenziale di rendimento o su un tasso di interesse che permetta un guadagno legittimo sul risparmio, piuttosto che tentare un’incentivazione alla spesa. Inoltre contribuiscono ad appiattire le differenze tra virtuosi e chi non è più in grado di fare utili; inibire il processo di “distruzione creatrice” descritto da Schumpeter e considerato da molti come elemento essenziale del capitalismo, come ci ricorda Bill Gross, uno dei più rinomati gestori di Bond degli ultimi 20 anni, nel suo Investment Outlook.
A fronte di tante parole che si ripetono stancamente nel nostro blog ormai da mesi, la svolta epocale è in divenire con conseguenze non certo piacevoli. Come può impattare sui portafogli è onestamente difficile da prevedere. Ma una cosa è certa: entrambe le asset class (azioni e obbligazioni) sono destinate a contrarsi nel momento in cui il mercato non “crederà” più alle “opportunità” offerte dalle Banche Centrali, ma tornerà a valutare i business per ciò che essi sono. Il problema che ci sentiamo di sottolineare (e che rappresenta davvero il punto più nebuloso) è che la montagna di Bond oggi a rendimento zero subirà un re-pricing che danneggerà tanto più chi ne ha abusato effettuando buyback sulle proprie azioni oltre che aprire ovviamente una fase di ristrutturazione dei debiti societari (e governativi) su coloro che il limite di indebitamento lo hanno già superato da un pezzo.
Quando avverrà questa “normalizzazione” dei mercati è naturalmente l’aspetto più difficile da prevedere; il teatrino delle Banche Centrali potrebbe non terminare domani, potremmo assistere addirittura alla follia di eventuali rilanci, all’intervento di un altro interprete in piena agonia come la Cina (con livelli di indebitamento del sistema creditizio alle stelle), pronta a svalutare ulteriormente lo Yuan.
L’unica cosa che ci sentiamo di dire è che rimane opportuno stare lontano dai bond in generale, e cercare valore su azioni value, cioè quella categoria di società in grado di creare utili nel tempo perché in possesso di dati solidi e con scarso livello di indebitamento in bilancio (alleghiamo un grafico che esprime l’andamento delle azioni value durante le fasi di crescita dei tassi).
Il boomerang però è proporzionale a quanto profondo è stato l’impegno delle Banche Centrali per falsare la situazione. Tanto epocale è stata la serie di QE tanto lo sarà ahimè la svolta.
Le ragioni a monte di questo movimento hanno qualche labile fondamento su alcuni (obsoleti e fuorvianti) principi economici, secondo i quali l’abbattimento del costo del denaro si dovrebbe tradurre in aumento spontaneo degli investimenti del settore produttivo.
Ciò che però conta sempre (ed è un concetto trasversale) è ricercare la verità. La verità è che la domanda aggregata negli ultimi decenni è stata sostenuta prevalentemente dal debito, e i salari, o meglio la ricchezza pro-capite per soddisfarla, è drammaticamente finita nelle tasche di sempre meno persone. Diversi economisti hanno provato a palesare questa situazione (il recente saggio di Thomas Picketty “Il Capiltale” ne è un emblematico esempio) ma nessuno di essi si è mai trovato guarda caso in posizioni di potere…
Ora ci rimangono i risultati delle politiche monetarie espansive. E non sono certo confortanti. Gli USA, l’unico Paese che dava a inizio anno segnali di ripresa, nel terzo trimestre ha messo a segno un cocktail di dati non certo esaltanti: il Pil stenta a dare segnali di ripresa, nuovi posti di lavoro sotto le attese, indice manifatturiero risultato il peggiore degli ultimi 6 anni. A tal proposito riportiamo un approfondimento sui recenti dati macro nel nostro Focus.
Fino ad oggi la Fed ci ha fatto credere che il rialzo dei tassi potesse legarsi esclusivamente ad un miglioramento dei dati economici USA, da qui il recente (ennesimo) tergiversare. Ora che gli anni per valutare gli effetti del QE sono trascorsi cominciano a comparire i primi dubbi… Non sarà forse che i tassi nulli o negativi non solo falliscono nel loro intento di fornire una protezione temporanea nel caso in cui la recessione dovesse bussare alla porta, ma distruggono i principi basilari del capitalismo, quelli basati su un differenziale di rendimento o su un tasso di interesse che permetta un guadagno legittimo sul risparmio, piuttosto che tentare un’incentivazione alla spesa. Inoltre contribuiscono ad appiattire le differenze tra virtuosi e chi non è più in grado di fare utili; inibire il processo di “distruzione creatrice” descritto da Schumpeter e considerato da molti come elemento essenziale del capitalismo, come ci ricorda Bill Gross, uno dei più rinomati gestori di Bond degli ultimi 20 anni, nel suo Investment Outlook.
A fronte di tante parole che si ripetono stancamente nel nostro blog ormai da mesi, la svolta epocale è in divenire con conseguenze non certo piacevoli. Come può impattare sui portafogli è onestamente difficile da prevedere. Ma una cosa è certa: entrambe le asset class (azioni e obbligazioni) sono destinate a contrarsi nel momento in cui il mercato non “crederà” più alle “opportunità” offerte dalle Banche Centrali, ma tornerà a valutare i business per ciò che essi sono. Il problema che ci sentiamo di sottolineare (e che rappresenta davvero il punto più nebuloso) è che la montagna di Bond oggi a rendimento zero subirà un re-pricing che danneggerà tanto più chi ne ha abusato effettuando buyback sulle proprie azioni oltre che aprire ovviamente una fase di ristrutturazione dei debiti societari (e governativi) su coloro che il limite di indebitamento lo hanno già superato da un pezzo.
Quando avverrà questa “normalizzazione” dei mercati è naturalmente l’aspetto più difficile da prevedere; il teatrino delle Banche Centrali potrebbe non terminare domani, potremmo assistere addirittura alla follia di eventuali rilanci, all’intervento di un altro interprete in piena agonia come la Cina (con livelli di indebitamento del sistema creditizio alle stelle), pronta a svalutare ulteriormente lo Yuan.
L’unica cosa che ci sentiamo di dire è che rimane opportuno stare lontano dai bond in generale, e cercare valore su azioni value, cioè quella categoria di società in grado di creare utili nel tempo perché in possesso di dati solidi e con scarso livello di indebitamento in bilancio (alleghiamo un grafico che esprime l’andamento delle azioni value durante le fasi di crescita dei tassi).
Il boomerang però è proporzionale a quanto profondo è stato l’impegno delle Banche Centrali per falsare la situazione. Tanto epocale è stata la serie di QE tanto lo sarà ahimè la svolta.