AGGIORNAMENTO MERCATI: tra petrolio e elezioni statunitensi
Mentre in Europa tiene sostanzialmente banco il caso Deutsche Bank e la galassia di istituti bancari stritolati dalla morsa dei crediti deteriorati e dalla sempre più esigua redditività del loro business, il resto del mondo si interroga su quale sarà il prezzo di equilibrio del petrolio e come le politiche future americane sull’indipendenza energetica del Paese impatteranno su di esso.
Ovviamente per dare risposte più complete occorre aspettare l’8 novembre, giorno in cui alla Casa Bianca si installerà un nuovo Presidente e con lui nuovi interventi di politica economica. Storicamente, a rigor di logica, è sempre nel primo anno di Presidenza che vengono effettuate le principali direttive che delineano la politica economica della legislatura.
Se da un lato la vittoria della Clinton (a oggi stimata tra il 60-65% delle probabilità) lascerà spazio a manovre di aumento dei tassi, ma con un occhio di riguardo alla politica estera e ai sottili equilibri commerciali che vedono dollaro e petrolio protagonisti assoluti, con Trump lo scenario avrebbe risvolti più bruschi e impattanti.
Tornando al petrolio, fatto salvo tutto ciò che è speculazione, e nonostante il recente accordo sulla diminuzione della produzione dell’Opec di 700.000 barili al giorno, temiamo che le pressioni al ribasso per le quotazioni dell’oro nero non siano ancora terminate. Nella migliore delle ipotesi infatti (Clinton alla Casa Bianca) l’effetto svalutante potrebbe essere solo costituito dall’apprezzamento del dollaro post aumento dei tassi USA. Ben più incisiva sarebbe invece la politica protezionista di Trump pronto a creare un esercito di produttori in Texas e a incentivarne la crescita con manovre fiscali ad hoc. Se ci aggiungiamo inoltre come alcuni Paesi (Russia e Iraq) continuino ad aumentare la produzione considerevolmente, o come le tecnologie di estrazione innalzino le economie di scala, la sensazione è che rivedere stabilmente il petrolio sopra 80 nel breve/medio periodo rappresenti ormai più un’utopia che altro. Cosa ciò comporti è già stato da noi dibattuto in un post di dicembre 2015 (FOCUS: il crollo del petrolio e il suo impatto globale) e rappresenta uno dei principali conflitti economici internazionali.
Quando si è detto in altri post come gli operatori di mercato stiano cercando rendimenti ovunque, sottoscrivendo bond di qualsiasi emittente, oltre a quelli del mondo bancario e creditizio, a toccare livelli di pericolosità altissima è doveroso inserire anche quelli legati al mining e ai settori energetici di Paesi dipendenti dall’esportazione di commodities. Raccomandiamo quindi cautela sui Bond di tali asset class, mentre l’opportunità dei prezzi delle principali materie prime è indubbia, nonostante la strada da percorrere per la futura ascesa sia ancora abbastanza lunga…
Più che semplici dichiarazioni ci sono parse le recenti parole di Theresa May, primo ministro inglese rilasciate in un’intervista del 5 ottobre, in cui senza troppi giri di parole è entrata in pieno contrasto con le politiche monetarie sin qui condotte dalle Banche Centrali (alleghiamo il contributo). Lo squilibrio amplificato dagli effetti delle politiche espansive in favore di multinazionali o grandi imprenditori non ha fatto altro che diminuire il potere d’acquisto della middle class (per quanto riguarda i Paesi Occidentali) o addirittura non permetterne una creazione (nel caso dei Paesi Emergenti). Le funzioni del canale del credito si sono assottigliate così come i risparmi, i salari e di conseguenza i consumi. Risultato più debito infruttifero, traballante e meno ricchezza pro-capite. Ma questa volta a dirlo non sono dei semplici blogger… Oggi la sterlina precipita col cambio EUR/GBP sopra 0.90 in prossimità dei suoi massimi storici. Il mercato infatti sconta imminenti contrattazioni tra la May e l’UE dove traspare determinazione nella scissione economico-politica.
Se da un lato la vittoria della Clinton (a oggi stimata tra il 60-65% delle probabilità) lascerà spazio a manovre di aumento dei tassi, ma con un occhio di riguardo alla politica estera e ai sottili equilibri commerciali che vedono dollaro e petrolio protagonisti assoluti, con Trump lo scenario avrebbe risvolti più bruschi e impattanti.
Tornando al petrolio, fatto salvo tutto ciò che è speculazione, e nonostante il recente accordo sulla diminuzione della produzione dell’Opec di 700.000 barili al giorno, temiamo che le pressioni al ribasso per le quotazioni dell’oro nero non siano ancora terminate. Nella migliore delle ipotesi infatti (Clinton alla Casa Bianca) l’effetto svalutante potrebbe essere solo costituito dall’apprezzamento del dollaro post aumento dei tassi USA. Ben più incisiva sarebbe invece la politica protezionista di Trump pronto a creare un esercito di produttori in Texas e a incentivarne la crescita con manovre fiscali ad hoc. Se ci aggiungiamo inoltre come alcuni Paesi (Russia e Iraq) continuino ad aumentare la produzione considerevolmente, o come le tecnologie di estrazione innalzino le economie di scala, la sensazione è che rivedere stabilmente il petrolio sopra 80 nel breve/medio periodo rappresenti ormai più un’utopia che altro. Cosa ciò comporti è già stato da noi dibattuto in un post di dicembre 2015 (FOCUS: il crollo del petrolio e il suo impatto globale) e rappresenta uno dei principali conflitti economici internazionali.
Quando si è detto in altri post come gli operatori di mercato stiano cercando rendimenti ovunque, sottoscrivendo bond di qualsiasi emittente, oltre a quelli del mondo bancario e creditizio, a toccare livelli di pericolosità altissima è doveroso inserire anche quelli legati al mining e ai settori energetici di Paesi dipendenti dall’esportazione di commodities. Raccomandiamo quindi cautela sui Bond di tali asset class, mentre l’opportunità dei prezzi delle principali materie prime è indubbia, nonostante la strada da percorrere per la futura ascesa sia ancora abbastanza lunga…
Più che semplici dichiarazioni ci sono parse le recenti parole di Theresa May, primo ministro inglese rilasciate in un’intervista del 5 ottobre, in cui senza troppi giri di parole è entrata in pieno contrasto con le politiche monetarie sin qui condotte dalle Banche Centrali (alleghiamo il contributo). Lo squilibrio amplificato dagli effetti delle politiche espansive in favore di multinazionali o grandi imprenditori non ha fatto altro che diminuire il potere d’acquisto della middle class (per quanto riguarda i Paesi Occidentali) o addirittura non permetterne una creazione (nel caso dei Paesi Emergenti). Le funzioni del canale del credito si sono assottigliate così come i risparmi, i salari e di conseguenza i consumi. Risultato più debito infruttifero, traballante e meno ricchezza pro-capite. Ma questa volta a dirlo non sono dei semplici blogger… Oggi la sterlina precipita col cambio EUR/GBP sopra 0.90 in prossimità dei suoi massimi storici. Il mercato infatti sconta imminenti contrattazioni tra la May e l’UE dove traspare determinazione nella scissione economico-politica.