AGGIORNAMENTO MERCATI: Spunti macroeconomici per riconoscere il cambiamento
Il motto di colui che potrebbe essere visto come uno dei più grandi investitori dell’ultimo trentennio, Warren Buffet, è sempre stato quello di credere nella crescita delle società, intesa come utili e ricavi, crescita avulsa totalmente dal contesto macroeconomico globale. Le sue teorie orientate sul mantenimento degli asset hanno indubbiamente creato valore a tutti coloro che le hanno sposate.
A leggere meglio i risultati di simili politiche di investimento, in tutta onestà, ci sembra doveroso affermare che il sig. Buffet ha beneficiato di un contesto dove per anni, i primi, il sistema è cresciuto grazie al fenomeno della globalizzazione, e negli ultimi grazie alla massiccia iniezione di debito creato per non arrestare tale crescita. Bravo a cavalcarlo, fortunato a far questo lavoro in questo lasso temporale, suo padre tra il 1920 e il 1950 avrebbe avuto qualche problemino in più…
Ora è più che lecito chiedersi quale possa essere la scelta più redditizia per i nostri portafogli, laddove l’asset class obbligazionaria ha rendimenti pari a 0, nonché minimi a fronte di un rischio solvibilità a livelli sempre più critici. Resta il mondo dell’equity, su cui ci si riversa ormai da anni e che ha portato buoni frutti rispetto ai rendimenti delle altre forme di risparmio (immobili, crescita dei redditi salariali , business su beni durevoli..).
Ora, se i tassi saliranno, perché in USA c’è inflazione e crescita (ora anche politiche fiscali accomodanti targate Trump), perché in Europa è necessario restituire valore temporale al denaro (nonostante della crescita non se ne veda nemmeno l’ombra…), la più naturale delle conseguenze sarà una contrazione dei prezzi dei bond con conseguenze a loro volta devastanti sui bilanci che presentano indici di indebitamento elevati. Il fenomeno che ne consegue, queste non sono stime, ma semplicemente considerazioni banali e sincere al contempo, prevede un riposizionamento anche delle azioni su una trend line che rispecchi valori di crescita più coerenti all’economia reale e alla domanda effettiva del mercato. Insomma meno debiti, meno buy-back societari, meno brillantezza di bilancio, meno rigonfiamento azionario.
Come sempre individuare il punto di rottura è estremamente complesso, l’elemento catalist, il primo soggetto che apra con un deciso sell-off la voragine. Quello che è certo è che la festa del debito volge al termine, le Banche Centrali hanno terminato il loro intervento che francamente, non associato a politiche fiscali e di redistribuzione dei redditi, non hanno fatto altro che generare fenomeni anti-globalizzazione (Brexit, Trump, Grillo, Le pen…). Il trigger in genere si scatena quando l’infiammazione è già in atto, quando la ricerca spasmodica di rendimento cede il passo ai timori che il debito sottoscritto o il capitale investito sia realmente solvibile. A quel punto la fiducia si trasforma in sfiducia e scatta il fuggi fuggi.
Un esempio tipico della sovraperformance della finanza rispetto alla crescita reale di un mercato è dato dal Dax (vedere grafico allegato). Quei 3000 punti di sopravvalutazione dell’indice tedesco non tengono conto della possibile approvazione della Border TAX. Se venisse approvata potremmo assistere ad un drastico calo del commercio mondiale che colpirebbe principalmente Cina e Germania: il tasso di crescita dell’export anno su anno potrebbe essere negativo e a quel punto non sarebbe implausibile immaginare un DAX sottovalutato di 3000 punti anziché sopravvalutato.
Volendo tirare le somme dei ragionamenti esposti, il fenomeno sociopolitico antiglobale che si sta generando non può che amplificare i movimenti di normalizzazione e di correzione dei mercati, propensi quasi esclusivamente a entusiasmarsi su ipotesi di crescita futura (peraltro millantata e promossa da un Premier americano di dubbia credibilità e lungimiranza politica) piuttosto che ragionare su aspetti prettamente economici, quali sostenibilità del debito e crescita economica globale. Perciò in conclusione, impostare i portafogli su scelte macroeconomiche non è quasi mai di moda, ma si avvicina il momento in cui è sempre più doveroso ricostruire rischi e conseguenze di quello che ha tutta l’aria di essere un cambiamento epocale.
Ora è più che lecito chiedersi quale possa essere la scelta più redditizia per i nostri portafogli, laddove l’asset class obbligazionaria ha rendimenti pari a 0, nonché minimi a fronte di un rischio solvibilità a livelli sempre più critici. Resta il mondo dell’equity, su cui ci si riversa ormai da anni e che ha portato buoni frutti rispetto ai rendimenti delle altre forme di risparmio (immobili, crescita dei redditi salariali , business su beni durevoli..).
Ora, se i tassi saliranno, perché in USA c’è inflazione e crescita (ora anche politiche fiscali accomodanti targate Trump), perché in Europa è necessario restituire valore temporale al denaro (nonostante della crescita non se ne veda nemmeno l’ombra…), la più naturale delle conseguenze sarà una contrazione dei prezzi dei bond con conseguenze a loro volta devastanti sui bilanci che presentano indici di indebitamento elevati. Il fenomeno che ne consegue, queste non sono stime, ma semplicemente considerazioni banali e sincere al contempo, prevede un riposizionamento anche delle azioni su una trend line che rispecchi valori di crescita più coerenti all’economia reale e alla domanda effettiva del mercato. Insomma meno debiti, meno buy-back societari, meno brillantezza di bilancio, meno rigonfiamento azionario.
Come sempre individuare il punto di rottura è estremamente complesso, l’elemento catalist, il primo soggetto che apra con un deciso sell-off la voragine. Quello che è certo è che la festa del debito volge al termine, le Banche Centrali hanno terminato il loro intervento che francamente, non associato a politiche fiscali e di redistribuzione dei redditi, non hanno fatto altro che generare fenomeni anti-globalizzazione (Brexit, Trump, Grillo, Le pen…). Il trigger in genere si scatena quando l’infiammazione è già in atto, quando la ricerca spasmodica di rendimento cede il passo ai timori che il debito sottoscritto o il capitale investito sia realmente solvibile. A quel punto la fiducia si trasforma in sfiducia e scatta il fuggi fuggi.
Un esempio tipico della sovraperformance della finanza rispetto alla crescita reale di un mercato è dato dal Dax (vedere grafico allegato). Quei 3000 punti di sopravvalutazione dell’indice tedesco non tengono conto della possibile approvazione della Border TAX. Se venisse approvata potremmo assistere ad un drastico calo del commercio mondiale che colpirebbe principalmente Cina e Germania: il tasso di crescita dell’export anno su anno potrebbe essere negativo e a quel punto non sarebbe implausibile immaginare un DAX sottovalutato di 3000 punti anziché sopravvalutato.
Volendo tirare le somme dei ragionamenti esposti, il fenomeno sociopolitico antiglobale che si sta generando non può che amplificare i movimenti di normalizzazione e di correzione dei mercati, propensi quasi esclusivamente a entusiasmarsi su ipotesi di crescita futura (peraltro millantata e promossa da un Premier americano di dubbia credibilità e lungimiranza politica) piuttosto che ragionare su aspetti prettamente economici, quali sostenibilità del debito e crescita economica globale. Perciò in conclusione, impostare i portafogli su scelte macroeconomiche non è quasi mai di moda, ma si avvicina il momento in cui è sempre più doveroso ricostruire rischi e conseguenze di quello che ha tutta l’aria di essere un cambiamento epocale.