AGGIORNAMENTO MERCATI: 9 settimane e mezzo di Donald alla Casa Bianca
Tutto ciò di cui siamo certi a distanza di questo emblematico lasso temporale è che Donald sia riuscito nell’intento di provocare... Provocare le platee di elettori, la compagine repubblicana, i premier stranieri, insomma un po’ chiunque gli capitasse a tiro.
Della sua efficacia scenica si comincia ormai ad avere conferme, che poi essa si trasformi in riforme e soluzioni politiche stanno cominciando a sorgere i primi dubbi. La leadership repubblicana e il presidente Trump hanno subito una dura sconfitta politica nella vicenda della riforma sanitaria. Infatti, il presidente della Camera Ryan ha dovuto ritirare il progetto di riforma dall’agenda di voto in aula perché era chiaro che non sarebbe passata. Sia Ryan sia Trump hanno dichiarato che a questo punto la sanità esce dal radar dell’agenda politica: dalla prossima settimana il focus si sposterà sulla riforma tributaria. Ora la prima questione in agenda è il rinnovo dell’appropriation bill (legge di finanziamento della spesa corrente), che scade il 28 aprile. Il Congresso ha dodici giorni di lavoro effettivo per evitare una possibile chiusura del governo (shutdown). L’implicazione è che fino a maggio non inizieranno davvero i lavori per la riforma tributaria.
La domanda che nasce spontanea è ovviamente sempre la stessa: ma se Trump nel suo primo impegno di riforma ha fallito, perché il mercato ha solo vagamente accennato uno storno, tornando sui suoi passi appena 24 ore dopo?
Vero è da un lato che il mercato globale con la riforma sanitaria americana ha indubbiamente pochi interessi comuni, dovesse deludere quella tributaria, forse qualche scossone più violento dovremmo (a buon ragione) aspettarcelo. Ma resta di fondo un assioma generale che sta prendendo corpo ormai da mesi, in scia peraltro alle “non conseguenze” patite l’anno scorso dal verificarsi di eventi anti-globalizzazione ormai arci noti (Brexit, Trump..): il mercato ha una montagna di liquidità in grado di saturare il debito in eccesso e di dilatare bolle sull’equity ormai in iper-espansione.
Giovedì scorso si è tenuto l’ultimo TLTRO a 4 anni a cui hanno partecipato 474 banche per una richiesta complessiva di 233 mld, cifra ben superiore all’attesa media di mercato per 150 mld. Il desiderio da parte del sistema di approfittare di quest’ultima occasione di prendere a prestito a un tasso pari a 0%, se non addirittura negativo potrebbe essere sinonimo di espansione futura del credito, ma di certo significa altra liquidità da buttare sul mercato.
E che opportunità il mercato offra fa già parte degli interrogativi assennati, in fuorigioco totalmente dalle logiche attuali del mercato. Non ci sarà da stupirsi che ci si ritrovi da qui a fine anno a nuovi rally borsistici, magari sui tanto “a rischio” mercati emergenti. In fin dei conti gli ETF sugli emergenti sono a sconto rispetto a quelli sulle azioni americane, è anche vero che non sono proprio a saldo in termini assoluti. Le azioni degli emergenti sono scambiate (solo) a 12,2 volte gli utili attesi nei prossimi dodici mesi, contro una media storica di 11 volte. Ma quelle americane sono a 19 volte, livello visto solo nel 2000, dentro ovviamente l’ennesima bolla azionaria.
Per farla breve, visto l’appeal trumpiano, ma soprattutto la diga piena di liquidità che abbevera il sistema non approfittare della bolla risulterebbe anacronistico. Le tecniche per farlo a nostro avviso devono avere l’accortezza di cambiare repentinamente e bruscamente al cambiare del vento…