AGGIORNAMENTO MERCATI: USA e EUROPA a confronto
Con l’esito delle elezioni governative inglesi, che vedono la May senza maggioranza assoluta e impossibilitata ad accelerare il processo in atto della Brexit, l’Unione Europea incassa l’ennesimo consenso nell’arco degli ultimi 3 mesi.
Migliorano anche i dati economici dell’Area Euro con un Pil per l’anno in corso pari all’1,9%, una disoccupazione calante e un’inflazione, sebbene non esaltante, comunque in lieve crescita da allontanare lo spauracchio dei tassi negativi. Draghi non ha aggiunto molto all’architettura del QE, ma ha fatto notare come sarà molto lenta la ripresa dell’inflazione in Europa. Intanto la fluttuazione del petrolio inciderà sull’indice di crescita dei prezzi, perché tale componente determinante l’inflazione è indubbiamente predominante rispetto a quella “core”, ossia quella legata alla crescita dei consumi veri e propri, determinata in altre parole dalla capacità di acquisto dei consumatori.
Da un lato queste considerazioni confortano il nostro Paese, dal momento che la lentezza con cui si procederà ad alzare i tassi in Europa, ci permetterà di avere il tempo necessario per creare politiche di crescita, attraverso sgravi fiscali, piani di sviluppo e industriali convincenti, promossi da una classe politica preparata e storicamente disinteressata. Visto che quest’ultime righe sono una chimerica speranza per il nostro Paese, gli scenari a cui si va incontro hanno aihmè un analogo epilogo: in caso di lenta agonia di tassi a zero a finir male è il sistema bancario, le cui sofferenze in assenza di utili andrebbero spesate innescando una serie di ristrutturazioni bancarie e relative conseguenze sui risparmiatori; in caso invece di aumento dei tassi (magari con la scadenza del mandato di Draghi) a soffrire sarebbero i debiti governativi dell’Area Euro più “pesanti”, che comincerebbero a maturare insostenibili quote interessi da pagare.
Non ci sarà da stupirsi pertanto se si tornerà a parlare di spread. Il divario tra noi e la Germania in tutta onestà non è di soli 190 bp…
Dall’altra parte dell’Oceano la preoccupazione principale si chiama Trump, non essendo esattamente un modello di diplomazia e perdendo via via consensi anche tra i suoi elettori, gli USA potrebbero vivere nel breve periodo momenti di tensione sui mercati e a livello politico.
Detto ciò le azioni statunitensi sono strategicamente preferibili rispetto a quelle europee a nostro avviso. Qui sotto le evidenze: a sinistra è mostrato lo S&P500 e a destra lo Eurostoxx 50. In entrambi i grafici è riportato in nero l’indice e in viola l’utile per azione (EPS, earning per share, in notazione inglese).
Da un lato queste considerazioni confortano il nostro Paese, dal momento che la lentezza con cui si procederà ad alzare i tassi in Europa, ci permetterà di avere il tempo necessario per creare politiche di crescita, attraverso sgravi fiscali, piani di sviluppo e industriali convincenti, promossi da una classe politica preparata e storicamente disinteressata. Visto che quest’ultime righe sono una chimerica speranza per il nostro Paese, gli scenari a cui si va incontro hanno aihmè un analogo epilogo: in caso di lenta agonia di tassi a zero a finir male è il sistema bancario, le cui sofferenze in assenza di utili andrebbero spesate innescando una serie di ristrutturazioni bancarie e relative conseguenze sui risparmiatori; in caso invece di aumento dei tassi (magari con la scadenza del mandato di Draghi) a soffrire sarebbero i debiti governativi dell’Area Euro più “pesanti”, che comincerebbero a maturare insostenibili quote interessi da pagare.
Non ci sarà da stupirsi pertanto se si tornerà a parlare di spread. Il divario tra noi e la Germania in tutta onestà non è di soli 190 bp…
Dall’altra parte dell’Oceano la preoccupazione principale si chiama Trump, non essendo esattamente un modello di diplomazia e perdendo via via consensi anche tra i suoi elettori, gli USA potrebbero vivere nel breve periodo momenti di tensione sui mercati e a livello politico.
Detto ciò le azioni statunitensi sono strategicamente preferibili rispetto a quelle europee a nostro avviso. Qui sotto le evidenze: a sinistra è mostrato lo S&P500 e a destra lo Eurostoxx 50. In entrambi i grafici è riportato in nero l’indice e in viola l’utile per azione (EPS, earning per share, in notazione inglese).
Se da un lato l’equity statunitense non è esattamente a buon mercato, il rally dello S&P500 è stato giustificato da un similare incremento degli utili per azione, mentre l’EPS delle società europee è ancora attorno ai livelli del 2009. L’Europa sembra dunque più vulnerabile a correzioni rispetto agli Stati Uniti.
L’S&P500 tratta a 16,6, lo Eurostoxx 50 a 13,8. Il premio degli Stati Uniti sull’Europa è dunque del 20%. Se si considera che l’S&P è un indice meno volatile, più sicuro, meglio performante e con un’economia di riferimento in migliore salute, è legittimo che gli USA trattino a premio
Se si considera che i finanziari (che trattano a multipli relativamente contenuti per via dei problemi che attraversano) sono il settore più pesato nell’indice europeo, mentre la tecnologia (che tratta a premio rispetto al mercato) è molto meno rappresentata che non negli Stati Uniti dove invece è il settore principale, il gap tra i due P/E è più contenuto di quanto non appaia dal semplice dato numerico.
Pertanto, sulla base di queste considerazioni, non si trova alcuna evidenza del fatto che l’Europa abbia un qualsivoglia gap di performance da recuperare. La divergenza dei mercati è dovuta alla differente capacità di generazione di utili.
Di conseguenza si preferisce rimanere sugli Stati Uniti dove non sembrano esserci dubbi riguardo alla capacità delle aziende di continuare a far crescere i profitti, e dove la volatilità e i drawdown sono molto più contenuti.
L’S&P500 tratta a 16,6, lo Eurostoxx 50 a 13,8. Il premio degli Stati Uniti sull’Europa è dunque del 20%. Se si considera che l’S&P è un indice meno volatile, più sicuro, meglio performante e con un’economia di riferimento in migliore salute, è legittimo che gli USA trattino a premio
Se si considera che i finanziari (che trattano a multipli relativamente contenuti per via dei problemi che attraversano) sono il settore più pesato nell’indice europeo, mentre la tecnologia (che tratta a premio rispetto al mercato) è molto meno rappresentata che non negli Stati Uniti dove invece è il settore principale, il gap tra i due P/E è più contenuto di quanto non appaia dal semplice dato numerico.
Pertanto, sulla base di queste considerazioni, non si trova alcuna evidenza del fatto che l’Europa abbia un qualsivoglia gap di performance da recuperare. La divergenza dei mercati è dovuta alla differente capacità di generazione di utili.
Di conseguenza si preferisce rimanere sugli Stati Uniti dove non sembrano esserci dubbi riguardo alla capacità delle aziende di continuare a far crescere i profitti, e dove la volatilità e i drawdown sono molto più contenuti.