FOCUS: evoluzione della domanda, la crescita dell'algoritmo e il declino della proprietà

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Se è la domanda a determinare i prezzi il passaggio fondamentale per scegliere come investire è comprenderne i movimenti e le tendenze.
Per cominciare numeri e algoritmi stanno giocando un ruolo sempre più diffuso non solo nel dare segnali utili ad un corretto e dinamico asset allocation, ma anche nel condizionare la domanda stessa dei consumatori.
Oggi non esiste un podista che non monitori attentamente il livello dei propri sforzi attraverso programmi di calcolo di calorie consumate, frequenza dei battiti cardiaci, km percorsi durante l’attività fisica. Il tutto avviene attraverso la registrazione di dati e la relativa loro elaborazione mediante appositi software. L’allenamento pertanto più corretto è affidato non più al proprio buon senso, ma al consiglio pressoché insindacabile di una mente artificiale veloce e precisa.
C’è già chi ipotizza la presenza dell’algoritmo, in un futuro nemmeno troppo lontano, nelle singole scelte quotidiane che ci potranno evitare molti “errori” di valutazione. Il fine è naturalmente quello di massimizzare il nostro piacere, affossando definitivamente il concetto di libero arbitrio umano. Yuval Noah Harari, in un suo recente saggio (“Homo deus, breve storia del futuro”) lancia alcune interessanti provocazioni a tal riguardo che coinvolgono le trasformazioni del processo decisionale dell’uomo. Mappando infatti gli elementi distintivi dell’individuo, quali il proprio DNA, o il bagaglio genetico, nonché gli usi e i piaceri del singolo e fornendo tali dati ad un elaboratore di calcolo, l’uomo potrà disporre a portata di smartphone di un consulente fatto su misura pronto ad indicare la retta via su salute, lavoro, hobbies, magari aiutandoci addirittura a scoprire aspetti di noi stessi inattesi. Inquietante forse, ma non così surreale…
Quello che queste tecniche sfortunatamente trascurano è la lettura delle metamorfosi delle abitudini umane.
Visualizzare il cambiamento è una virtù non così immediata. Basti pensare a innumerevoli esempi  nella recente storia economica di realtà societarie che non sono state in grado di adeguare il proprio business e si sono estinte nell’arco di pochi anni. Kodak, Leader mondiale in ambito fotografico fino alla fine degli anni ‘80, non credendo nel digitale fece una pessima fine; così come Nokia: non erano gli unici a pensare agli smartphone come strumenti scomodi e ingombranti, ma la storia è andata in un’altra direzione…
Business e abitudini cambiano repentinamente e lo fanno ad una velocità via via esponenziale.
Prima della rivoluzione industriale l’uomo per svariati secoli ha sempre condotto la stessa vita. Un contadino sotto il Regno di Federico II di Svevia non sarebbe rimasto granché sorpreso risvegliandosi 5 secoli dopo sotto i Borboni, ma quello che abbiamo assistito negli ultimi 15/20 anni, in particolare in seguito alla rivoluzione informatica e tecnologica ha del prodigioso!
Un elemento sostanziale per non subire il cambiamento, piacevole o meno che esso ci appaia, è di eliminare gli ancoraggi mentali del passato. A generare nuove usanze sono spesso le nuove generazioni che nascono senza le “vecchie regole” e ne “costruiscono” di nuove sulle quali si basano alternative aree di comfort.
Traslando queste considerazioni sulle scelte di allocazione dei propri risparmi, la prima rivoluzione in termini sia temporali (essendo già in atto) che per la portata delle sue conseguenze è senza ombra di dubbio sulla proprietà dei beni, specie quelli “durevoli”.
Intanto di per sé il bene è un elemento deperibile, pertanto accollarsene la titolarità comporta, oltre a impegni legati alla sua manutenzione, rischi sul capitale impegnato, costi per assicurarlo da tali rischi e infine seccature per alienarsene allorquando non sia più in cima alla lista dei desideri. Esempi pratici? La proprietà immobiliare, le autovetture, strumenti di intrattenimento (attrezzatura sportiva, contenuti multimediali, software). La sensazione di appagamento che generava nei nostri genitori essere proprietari di due o più immobili, di un veicolo, di una libreria, di una collezione di dischi… non rientra per esempio tra i desideri dei millenials che leggono su tablet, ascoltano musica su Spotify, dispongono di ogni sorta di movie con un semplice abbonamento mensile, utilizzano il car sharing e meno che mai saranno disposti a passare i loro we nella vecchia dimora di campagna a tagliere l’erba.
L’immobile in particolar modo sarà l’oggetto maggiormente messo in discussione specie nel nostro Paese, dove usi e costumi del passato hanno concentrato per decenni i risparmi proprio su di esso. La sensazione che l’Italia possa iniziare un processo massiccio di alienazione immobiliare almeno per avvicinarsi ad altri Paesi sviluppati, dove la proprietà è decisamente meno inflazionata, è più che verosimile. I tassi di crescita via via più contenuti lasceranno sempre meno margini di profitto su chi utilizza l’immobile per ottenerne una rendita (i costi già incidono più che proporzionalmente sulle speranze di rendimento), congelando peraltro il capitale che potrebbe essere utilizzato per altri scopi magari più vantaggiosi. Il business immobiliare sarà con ogni probabilità sempre più alla portata dei professionisti, organizzati e che dispongono di economie di scala per far fronte al peggioramento dei margini e facilmente meno dei privati.
E’ un fenomeno già in atto, che però non ha ancora sprigionato tutta la sua forza. In questo processo evolutivo anche lo strapotere del settore finanziario, oltre ad aver già condizionato i mercati e l’economia reale, ha contribuito a smuovere le acque dei solidi risparmiatori del mattone, che si sono visti negli ultimi 10 anni un deperimento e un’illiquidità dei loro asset immobiliari senza precedenti a fronte di un sostanziale guadagno di quelli finanziari.
Dire se questi ultimi confermeranno la tendenza è complesso, ma sicuramente i primi hanno una strada ancora molto tortuosa davanti...



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