AGGIORNAMENTO MERCATI: l'ultima della classe
Si apre ufficialmente la procedura di infrazione che vede l’Italia nuovamente protagonista e inadempiente sul rispetto dei criteri del debito per l’anno 2018.
La risposta del nostro Governo dovrà avvenire entro oggi, 31 maggio 2019, tentando di giustificare le ragioni secondo le quali lo scorso anno ci si sia rifiutati di adottare le misure richieste da Bruxelles lasciando così scappar via il debito per oltre 7 miliardi di disavanzo. Le sterili giustificazioni che verranno in risposta a tale monito non scongiureranno sicuramente la traiettoria correttiva che L’UE riserverà al nostro Paese. Si renderà pertanto necessario un recupero sul disavanzo 2019, pari a c.a. 11 miliardi e un rientro dalle attuali prospettive di deficit per il 2020 intorno al 3,5% col dedito/PIL che vola sopra il 135%. La richiesta europea sarà sicuramente per una riduzione non inferiore allo 0,6% del Pil per una manovra correttiva probabilmente di almeno 23 miliardi.
Ora: va bene tutto, ma continuare a fare la voce grossa su quanto sia assurdo rispettare tali richieste ogni giorno che passa rappresenta un costo sempre maggiore per il Paese. Finché esistono trattati ai quali siamo legati coloro che sono preposti a farli rispettare ci chiederanno sempre il conto e questo è un dato che ogni forza politica deve conoscere e considerare nella pianificazione delle proprie manovre economico-finanziarie.
Il rischio in questione ancora una volta non è di natura politica, anche se ovviamente il suo contenimento dipende dalle misure politiche, ma sta nei numeri. L’analisi che il Treasury Department fa per il Congresso semestralmente evidenzia ragioni di varia natura allo scopo di sensibilizzare su criticità di matrice commerciale emerse tra USA e Stati esteri. L’Italia spicca per essere uno dei rari Paesi presenti nella lista non asiatici. E naturalmente le ragioni della sua presenza non hanno nulla a che fare con la guerra dei dazi.
Tale rapporto evidenzia come la competitività del nostro Paese soffra per la stagnante produttività e gli smisurati costi del lavoro. Vitali sono pertanto riforme strutturali volte a rilanciare la crescita e che non rappresentino una minaccia all’incremento del debito come il reddito di cittadinanza o la costosissima quota 100.
Questo nostro odierno approfondimento non ha alcuno sfondo politico nonostante vi venga proposto a ridosso del voto per le europee, ma ha il solo intento di mettere in guardia gli investitori che forse i tempi per un recupero dei nostri listini non siano ancora maturi. La pressione dei nostri conti pubblici sui bilanci delle Banche, che svolgono un ruolo predominante all’interno dell’indice, non lasciano spazio all’ottimismo. Perciò la cautela sulla nostra economia è d’obbligo e ciò che purtroppo deprime è che il cammino risulta essere ancora molto lungo e tortuoso…
Ora: va bene tutto, ma continuare a fare la voce grossa su quanto sia assurdo rispettare tali richieste ogni giorno che passa rappresenta un costo sempre maggiore per il Paese. Finché esistono trattati ai quali siamo legati coloro che sono preposti a farli rispettare ci chiederanno sempre il conto e questo è un dato che ogni forza politica deve conoscere e considerare nella pianificazione delle proprie manovre economico-finanziarie.
Deve sorprendere non poco che la terza economia dell’Unione abbia un costo sul proprio debito pubblico a 10 anni del 2,6% quando Paesi come il Portogallo sulla stessa durata pagano meno dello 0,9%, per non citare la Spagna che remunera oggi a 10 anni lo 0,75%.
Di quello che un tempo erano i tristemente noti PIIGS, Stati cosiddetti periferici per la loro traballante solvibilità all’interno dell’Unione Europea, rimangono la Grecia e noi! Un accostamento che mette francamente i brividi…
A rincarare la dose in questi giorni si è messo anche il Dipartimento del Tesoro americano che ha messo “sotto osservazione” il nostro Paese inserendoci tra i partner commerciali a rischio.Il rischio in questione ancora una volta non è di natura politica, anche se ovviamente il suo contenimento dipende dalle misure politiche, ma sta nei numeri. L’analisi che il Treasury Department fa per il Congresso semestralmente evidenzia ragioni di varia natura allo scopo di sensibilizzare su criticità di matrice commerciale emerse tra USA e Stati esteri. L’Italia spicca per essere uno dei rari Paesi presenti nella lista non asiatici. E naturalmente le ragioni della sua presenza non hanno nulla a che fare con la guerra dei dazi.
Tale rapporto evidenzia come la competitività del nostro Paese soffra per la stagnante produttività e gli smisurati costi del lavoro. Vitali sono pertanto riforme strutturali volte a rilanciare la crescita e che non rappresentino una minaccia all’incremento del debito come il reddito di cittadinanza o la costosissima quota 100.
Questo nostro odierno approfondimento non ha alcuno sfondo politico nonostante vi venga proposto a ridosso del voto per le europee, ma ha il solo intento di mettere in guardia gli investitori che forse i tempi per un recupero dei nostri listini non siano ancora maturi. La pressione dei nostri conti pubblici sui bilanci delle Banche, che svolgono un ruolo predominante all’interno dell’indice, non lasciano spazio all’ottimismo. Perciò la cautela sulla nostra economia è d’obbligo e ciò che purtroppo deprime è che il cammino risulta essere ancora molto lungo e tortuoso…