AGGIORNAMENTO MERCATI: belt&road tra debito globale e guerra tecnologica
Un po’ di numeri aiutano a comprendere l’orizzonte economico e le sue possibili evoluzioni. Fissare nella propria mente la portata di alcuni dati è fondamentale per comprendere i passi futuri dei principali interpreti dell’economia globale.
I principali driver economici in grado di condizionare scelte di natura economico finanziaria sono essenzialmente due: la crescita inarrestabile del debito aggregato e il conflitto per il dominio mondiale della tecnologia.
Il debito globale ha raggiunto il valore record di 184 mila miliardi di dollari in termini assoluti, che rispetto al reddito globale si traduce in un rapporto debito/PIL pari al 225%, come facilmente osservabile nel grafico sotto riportato. A livello pro-capite il valore è di 86 mila dollari. I dati, relativi al 2017, sono stati elaborati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e riguardano centonovanta Paesi.
Da un lato colpisce come la gran parte di tale debito appartenga a Paesi sviluppati e solo negli ultimi anni le economie emergenti stiano anch’esse recuperando terreno, ma pesino ancora ben poco su scala mondiale. Oltre l’80% del debito pubblico è concentrato negli USA, Eurozona, Cina e Giappone, così come oltre i 2/3 di quello privato (famiglie e imprese). Il livello di tale debito globale aggregato ha raggiunto il 266% del Pil, aspetto che peraltro da una dimensione più realistica e “relativamente contenuta” dell’esposizione debitoria aggregata italiana pari al 246%.
L’esplosione del debito e la relativa sostenibilità si è quindi impadronito della scena economica influenzando in maniera viscerale ormai ogni tipo di politica economica e monetaria, in particolar modo dei Paesi avanzati. Le reazioni brusche che coinvolgono i mercati allorquando le politiche monetarie tentano di innalzare lievemente ad un congruo livello i tassi d’interesse sono figlie di questa situazione.
Più lo stock di debito aumenta più il peso dei suoi interessi si fa insostenibile e il suo impatto sui bilanci pubblici e privati diventa via via più sensibile. L’accanimento di Trump nei confronti della Fed non è solo diretto a svalutare la propria moneta ma è il miglior modo per tenere a debita distanza lo spettro dell’insolvenza di milioni di imprese e famiglie.
Il tentativo di scongiurare uno scenario apocalittico di insostenibilità debitoria, sul quale peraltro tutti gli interpreti di politica monetaria ed economica sono allineati, ha però comportato il fenomeno dei rendimenti negativi di un quarto circa delle emissioni obbligazionarie mondiali (13.100 miliardi di dollari su c.a. 56.000 miliardi). Oltre ad essere un territorio finora inesplorato per la maggior parte delle economie (solo il Giappone si è avvicinato a questo scenario da una ventina d’anni) per cui risulta difficile leggerne con chiarezza le conseguenze, è però piuttosto intuitivo che a queste condizioni l’emisfero dei creditori si trovi in sofferenza nell’esercitare la propria attività mentre quello dei debitori sia spinto a contrarre ulteriore (a volte inutile...) debito.
Il processo della creazione di base monetaria per ammontare di fatto illimitato, presenta però dei limiti oggettivi, oltre a favorire la cosiddetta inflazione finanziaria, cioè l’apprezzamento degli asset finanziari al di là del loro valore effettivo. Tali limiti consistono nel saturare un mercato di liquidità che non permette più distinzione tra più e meno virtuosi, impedendo di fatto, se non affiancata da politiche fiscali e di crescita, la trasformazione della base monetaria diffusa in investimenti produttivi.
Con quali occhi analizzare questi fenomeni è difficile a dirsi. Quando ci imbattiamo in questi dati è come immergersi in uno sconvolgente bagno di realtà dal quale veniamo costantemente sottratti per evitare pericolosi attacchi di panico. In realtà il fenomeno della crescita del debito affonda le sue radici in tempi lontani. La risposta alla sua traballante sostenibilità è sempre stata trovata e probabilmente lo scenario attuale è il frutto di un timore di trovarsi impreparati di fronte a rischi futuri di insolvenza.
In ogni caso l’unico fattore che ha da sempre offerto un impulso di crescita sano e reale è quello tecnologico. Il fattore tecnologia dalla rivoluzione industriale, passando per quella informatica ed approdando a quella digitale ha sempre stravolto la vita degli individui spazzando via i problemi di ieri sostituendoli con le opportunità di domani. Le conquiste in campo biotecnologico, digitale catapulteranno l'uomo su un'altra dimensione di consumi e chi arriverà per primo come sempre stabilirà la propria supremazia sul resto del mondo. E' ormai noto che i conflitti internazionali si decidano infatti sui mercati e non sui campi di battaglia. I Paesi che sapranno correre più velocemente degli altri sotto il profilo dello sviluppo tecnologico attrarranno inevitabilmente più capitali. E senza ombra di dubbio la partita si giocherà tra Usa e Cina.
Della determinazione del popolo cinese abbiamo prove nel presente e nel passato e se, in qualche misura saremmo portati a pensare che l'attuale guerra dei dazi possa rappresentare un successo più per gli Stati Uniti che per lo Stato del Dragone, non dobbiamo sottovalutare la tenacia del popolo cinese. Correva l’anno 1933. La ritirata strategica delle forze comuniste durante il conflitto interno contro i nazionalisti di Chiang Kai Shek costò la vita alla maggior parte dei seguaci di Mao. Un anno di marcia per sfuggire alle soverchianti forze nemiche, 12.000 km percorsi tra aridi e selvaggi altipiani, 7000 c.a i superstiti su 80.000 uomini partiti. La Lunga Marcia di Mao, disperato gesto apparentemente suicida, rappresentò l’inizio di una nuova era per la Cina, un orgoglio nazionale che accompagna un popolo laborioso e instancabile.
L’escalation dei dazi che può turbare oggi i mercati di certo non fermerà l’avanzata della principale economia asiatica. Siamo ancora spesso erroneamente abituati ad associare al nome Cina tutto ciò che può essere prodotto a basso costo e poco innovativo. In risposta ai dazi, che fanno più clamore che reali danni all’economia globale, la contro-strategia di Xi Jinping si è materializzata con arguzia e rapidità. Intanto si è assicurato il monopolio dei metalli rari, largamente utilizzati nei componenti elettrici e dispositivi elettronici di ultima generazione, poi ha provveduto a svalutare lo Yuan per ammortizzare parzialmente il calo della domanda estera, nonché andare direttamente a creare tessuti produttivi nei Paesi limitrofi non soggetti a dazi (Vietnam in primis).
Con la stessa fermezza però la Cina dovrà badare anch’essa al proprio debito crescente a fronte peraltro di una crescita interna che viaggia ormai a ritmo di crociera. Il 6 settembre l’Autorità Monetaria ha infatti nuovamente abbassato di 50 punti base le riserve che le banche devono obbligatoriamente detenere presso sé medesima al 13% e all’11% degli impieghi rispettivamente per le banche di maggiori e minori dimensioni incrementando in tal modo di 900 miliardi di Yuan (circa 125 miliardi di dollari) la capacità di far credito del sistema bancario nazionale. Al momento, viceversa, la Banca Centrale non ha implementato alcuna riduzione del tasso di riferimento, pari al 4.35%, nonostante le pressioni inflattive contenute. A luglio l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 2.8% annuo, leggermente oltre il 2.7% del mese precedente, corroborato unicamente dal balzo del costo di alcuni generi alimentari, ma la misura “core” è rimasta inalterata all’1.6% e soprattutto i prezzi alla produzione sono diminuiti – per la prima volta da settembre 2016 - dello 0.3% tendenziale. Prescindendo da tale dicotomia, Pechino non pare intenzionata a lasciare che il credito totale torni a crescere indiscriminatamente. La somma del debito pubblico e privato non finanziario, infatti, secondo l’Istituto Internazionale di Finanza, ha raggiunto a marzo il 304% del PIL rispetto al già elevatissimo 298% di fine 2018.
Provando a fare delle considerazioni finali, i mercati seguiranno queste due variabili (debito e conflitto tecnologico) volenti o nolenti con naturale apprensione. Queste ultime sono infatti determinanti per il cammino dell’economia globale. Un cammino che ci si augura sia fatto non solo di competizione ma anche e soprattutto di responsabilità comune di fronte a temi come quello dei cambiamenti climatici e più in generale riassunti nei 17 goals promossi dalle Nazioni Unite e sottoscritti dai 193 Paesi membri.