AGGIORNAMENTO MERCATI: Coronavirus atto IV, le sfide del debito e della disoccupazione


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Quello che chiamiamo per coerenza coi post precedenti ATTO IV, potrebbe coincidere con quello che in Italia viene identificato con la FASE 2, ma forse altro non è che una semplice ripresa alla normalità o forse no.
Abbiamo sempre dubitato, anche se rispettiamo naturalmente perché sono argomentazioni che spingono a profonde riflessioni, delle teorie che sponsorizzano grandi cambiamenti che dovranno coinvolgere in modo duraturo le nostre società. Certo, nell’immediato assisteremo ad un processo lento al fine di recuperare fiducia e totale libertà nei contatti umani. E soprattutto tale processo sarà subordinato alle risposte dell’uomo alla diffusione del virus.
Come già evidenziato nel post precedente sarebbe folle non valutare la crescita o il sorgere di business all’insegna della prevenzione sanitaria e della preparazione delle comunità a futuri rischi di carattere epidemico, così come è alquanto probabile che si inneschino meccanismi all’interno delle stesse aziende volti a contenerne i danni.
La personale convinzione però è che le abitudini e i comportamenti, figli di un’evoluzione “naturale”, sviluppatesi in condizioni di libertà assoluta e assenza di “pericoli” tenderanno a prevalere nel medio-lungo periodo, portando l’essere umano a lasciarsi alle spalle sofferenza e disagio e inseguendo ciò che meglio percepisce come progresso.
In questo quadro dove molto è cambiato e molto potrà cambiare distinguiamo essenzialmente due fenomeni che sono emersi in modo certo e indiscutibile: uno di carattere socio-comportamentale e l’altro più strettamente finanziario.
Nel primo caso si è palesata l’impossibilità insita in ognuno di noi di fermarsi del tutto, di chiudersi  all’interno di quattro mura e mantenere equilibrio e ottimismo allo stesso tempo. George Orwell sosteneva che più della povertà colpisce la disoccupazione, e non soltanto lo fa nelle tasche delle persone, ma ancor più nella propria soddisfazione e autostima. La disoccupazione è la somma di un degrado economico e psicologico.
L’impreparazione  delle comunità mondiali (soprattutto quelle occidentali) al fenomeno pandemico, se rapportato per giunta alle reali conseguenze in termini di vite umane complessive che tale virus si porterà con se una volta sconfitto, non potrà ripetersi una seconda volta. Tale impreparazione ci ha infatti spinto al blocco pressochè totale delle attività. Il conseguente sforzo economico, ma anche quello emotivo di fronte all’incertezza e all’assenza di un vero e proprio “protocollo” a cui affidarsi in modo organizzato e ordinato, è stato immane e lo sarà probabilmente per diverso tempo.
Restiamo convinti però a tal proposito che il Coronavirus sia di per sé da trattare come un vero e proprio acceleratore di una metamorfosi socio-economica già in atto da almeno un decennio.
Robotica, digitalizzazione, biotecnologie oltre a creare nuove prospettive comporteranno una forte compressione della massa lavoro. Riducendo con ogni probabilità i dati occupazionali del futuro o perlomeno spostandone i numeri da un settore all’altro alimentando non poche preoccupazioni a diverse categorie professionali.
Anche a questo non si dovrà giungere impreparati.
Ad un’efficienza crescente dell’offerta di beni e servizi risponderà una domanda che in “autonomia”, cioè non aiutata, lasciata a se stessa, sarà sempre più in crisi a reggere il passo. Il mercato sarà costituito da sempre meno players, i quali è corretto chiedersi se avranno però il compito di ridurre gli utili per trasferirne una fetta alla popolazione improduttiva.
Ci sono fasi nella storia economica in cui il mercato se lasciato a se stesso e alle proprie regole “liberiste” rischia di non essere efficiente per la preservazione di un equilibrio socio-economico.
Lo Stato (gestito attraverso linee guida sane e incentrare sul bene della collettività) crediamo abbia il compito di riprendersi degli spazi a tutela di tale equilibrio
E’ probabile che si possa continuare ad alimentare i consumi privati facendo debito, e direi che questo lo sappiamo fare bene, ma crediamo che la creazione di un modello a cui fare riferimento che studi efficaci politiche di redistribuzione del reddito assuma un’importanza strategica enorme, al pari forse del tema ambientale.
Cittadini “modello” che impiegano il proprio tempo per migliorare il  benessere della comunità, o che si istruiscono mettendo a disposizione di canali pubblici le loro conoscenze, non vediamo perché non debbano avere un riconoscimento economico sotto forma di sussidi o benefit.
Alcuni di questi modelli affondano le radici in epoche davvero lontane. A partire infatti da Tommaso Moro alla corte di Enrico VIII all’inizio del XVI sec, passando da grandi pensatori del passato come Thomas Paine, Bertrand Russel, sino a giungere a grandi nomi di economisti (per lo più filo-keynesiani) come Oscar Lange, Abba Lerner. Per costoro il dividendo sociale non rappresentava soltanto una redistribuzione del reddito più ugualitaria tra cittadini, ma doveva essere considerato uno strumento fondamentale per il mantenimento della piena occupazione.
Alla maggior efficienza dell’offerta si dovranno molto probabilmente affiancare sforzi per il sostegno della domanda, in presenza soprattutto di una contrazione del potere di acquisto della popolazione mondiale. Mentre il primo aspetto è trainato dalla naturale propensione umana a migliorarsi ed evolversi tecnologicamente, il secondo si potrà solo ottenere attraverso una consapevolezza comune nel conseguimento di un benessere collettivo da anteporre a quello individuale. A tal proposito investire in istruzione per far maturare un più profondo senso civico sarà un passo molto probabilmente di vitale importanza.
La seconda certezza che ci lascia in eredità questa pandemia è di carattere esclusivamente finanziario e si tratta dell’esplosione del debito.
Tale espansione sta avvenendo sia in termini di debito pubblico che privato.
Erediteremo innanzitutto debito a livelli mai visti fino ad ora. Basti pensare che il rapporto debito/Pil mondiale pre-Covid si aggirava intorno al 322% per un ammontare complessivo pari a 253mila miliardi.
A farne maggiormente le spese in una fase iniziale sarà indubbiamente quello pubblico. Citando Mario Draghi nella lettera al Financial Times del 25 marzo risulta chiaro che il primo passo lo debbano fare gli Stati mettendo attraverso il debito immediatamente a disposizione risorse per evitare che lo shock si trasformi in una crisi senza ritorno. Ma l’ex Presidente della BCE va oltre prospettando che "livelli più elevati di debito pubblico diventeranno una caratteristica economica e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato", dove la mano del pubblico si fa sempre più grande e presente nel sistema economico finanziario. Paragona poi il fenomeno pandemico alle condizioni post belliche del primo conflitto mondiale puntando guarda a caso a scongiurare con la creazione di debito immediato il dilagare di una pericolosissima disoccupazione.
E così in Europa come nel resto del mondo il debito non potrà che salire sia in termini assoluti che rapportati al Pil. Il che genera e genererà importanti conseguenze per la sua sostenibilità futura, nonché per la crescita globale.





Ancora una volta il Covid si presenta ai nostri occhi come un acceleratore.
La paralisi di questi mesi del sistema economico non è infatti l’elemento scatenante il proliferare del debito.
Gli USA in tal senso stanno letteralmente “volando”. Dal 2008 ad oggi il deb/Pil è schizzato portandosi oggi sopra il 130% e viste le politiche fiscali accomodanti del governo Trump e le iniziative di sostegno economico varate e ampliate nei prossimi mesi, ci si interroga già su come questa montagna di debito possa risultare in qualche modo sostenibile nel medio/lungo periodo.
Intanto dal lato puramente finanziario crediamo che non ci siano più dubbi sulla permanenza intorno allo 0 degli interessi su tale debito per molto tempo.
Prendendo spunto da un prezioso lavoro di Gospa Consulting sul debito globale, ci siamo di recente imbattuti sui numeri  del debito italiano degli ultimi 25 anni. Con sorpresa abbiamo notato che dal 1993 al 2017 l’Italia ha pagato 1924 miliardi di € solo di spesa per interessi sul debito, mettendo contemporaneamente a segno un avanzo primario di ben 676 miliardi (più alto addirittura della virtuosa Germania). Questo significa che il nostro Paese nonostante gli sforzi immani e i tagli alla spesa pubblica a cui abbiamo assistito in tutti questi anni deve il proprio arretramento economico perché strozzata dai debiti ed impossibilitata ad intraprendere un cammino di sviluppo e crescita economica.
Questo è il dramma del debito quando supera soglie sostenibili e a tal riguardo si spiegano il taglio dei tassi pressoché ormai diffuso in tutte le economie sviluppate.
Non è un caso che il Giappone, avendo messo mano al debito a livelli incontenibili per mantenere quel benessere proliferato durante il boom economico degli anni 70-80, non riesca a schiodarsi dai tassi a 0 e sia strutturalmente nella cosiddetta trappola della liquidità da quasi un trentennio.
Il punto è che in questa trappola ci stiamo sprofondando tutti.
Sull’esigenza di affrontare il debito come priorità assoluta per far ripartire la crescita e sfruttarlo riqualificandolo con strumenti finalizzati ad obiettivi precisi, si è di recente espresso anche Carlo Messina.
Il piano d’azione per ridurre il debito pubblico e favorire la ripresa post-COVID proposto dal CEO di Intesa Sanpaolo si articola in cinque punti pratici..."E' necessario far leva su bond sociali, rientro dei capitali dall'estero, valorizzazione del patrimonio pubblico, investimenti pubblici e nella green economy, impiego agevolato del Tfr in titoli pubblici esentasse. Garantire solo liquidità e sopravvivenza alle imprese non basta". E questo concetto è sacrosanto, soprattutto per scongiurare o quantomeno allontanare non solo lo spettro della recessione ma anche quello della monetizzazione del debito.
Di fatto si sta verificando proprio questo.
Più cresce il debito globale più gli istituti centrali supportano i Governi nel sostenere le emissioni di debito. Un po’ quello che estremizzano esponenti della MMT (Modern Monetary Theory), secondo i quali gli Stati possono agire non solo sulla tassazione ma anche sull’emissione di moneta.
Non è facile oggi avere una visione chiara delle strade da percorrere, ma quel che è certo è la necessità di affrontare temi come il debito, la disoccupazione, la crescita con maggior lungimiranza facendo leva su linee guida da percorrere negli anni allocando risorse dedicate e mirate al raggiungimento di obiettivi di crescita e sostenibilità.



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