AGGIORNAMENTO MERCATI: quel che resta dell'economia reale
Già da anni si parla di un’economia globale che orbita intorno alla finanza.
E ahimè non viceversa.
Luciano Gallino in un saggio di una decina di anni fa affermava verità in stato embrionale, di cui ormai si è persa la capacità di controllo.
E ahimè non viceversa.
Luciano Gallino in un saggio di una decina di anni fa affermava verità in stato embrionale, di cui ormai si è persa la capacità di controllo.
Sosteneva infatti che “...l’estrazione di valore è un processo affatto diverso dalla produzione di valore. Si produce valore quando si costruisce una casa o una scuola, si elabora una nuova medicina, si crea un posto di lavoro retribuito, si lancia un sistema operativo piú efficiente del suo predecessore o si piantano alberi. Per contro si estrae valore quando si provoca un aumento del prezzo delle case manipolando i tassi di interesse o le condizioni del mutuo; si impone un prezzo artificiosamente alto alla nuova medicina; si aumentano i ritmi di lavoro a parità di salario; si impedisce a sistemi operativi concorrenti di affermarsi vincolando la vendita di un pc al concomitante acquisto di quel sistema, o si distrugge un bosco per farne un parcheggio”.
E ancora...”La mega-macchina denominata capitalismo industriale aveva come motore – e per quel che ne resta ha tuttora – l’industria manifatturiera. Il finanzcapitalismo ha come motore il sistema finanziario. I due generi di capitalismo differiscono sostanzialmente per il modo di accumulare il capitale. Il capitalismo industriale lo faceva applicando la tradizionale formula D1–M–D2, che significa investire una data quantità di denaro, D1, nella produzione di merci, M, per ricavare poi dalla vendita di queste ultime una quantità di denaro, D2, maggiore di quella investita. La differenza tra D2 e D1 è un reddito chiamato solitamente profitto o rendita. Per contro il finanzcapitalismo persegue l’accumulazione di capitale facendo tutto il possibile per saltare la fase intermedia, la produzione di merci. Il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati finanziari allo scopo di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro. La formula dell’accumulazione diventa quindi D1–D2”.
Salvo però poi parametrare la crescita globale a indicatori di produttività come il PIL, o dati sull’export o sulla disoccupazione che ci aiutano a stabilire la buona o cattiva salute di un’economia.
Ciò che a questo punto risulta anomalo, ma in linea con quanto scritto dal sociologo buonanima torinese, i mercati finanziari non rispecchino minimamente la contrazione e il clima di incertezza che ci si aspetta sulla ripresa economica globale.
Le crepe finanziarie si “sistemano” con massicce iniezioni di liquidità da parte delle Banche Centrali, quelle economiche hanno una gestione un po’ più complessa…
Gli indici perciò vanno in una direzione e l’economia in un’altra. E questo ormai è un dato di fatto.
C’è da stupirsi quindi che il Nasdaq sia approdato ai suoi massimi dopo lo shock del Covid? Direi di no. Così come non è insensato parlare di scarsa rappresentatività degli indici dell’economia reale.
A patire i cambiamenti post-Covid e a subire gli impatti più gravosi in termini economici sono e resteranno le PMI, e le tasche dei cittadini. Questi soggetti però non compaiono negli indici. Negli indici di Borsa ci sono i big, quelli che sono i primi destinatari delle manovre monetarie delle banche centrali, che troveranno sempre conforto nel supporto finanziario di politiche monetarie e fiscali espansive. E’ evidente che se la domanda dei cittadini resta depressa prima o poi toccherà anche alle grandi società patire la crisi, ma nell’immediato il loro sostegno è fuori discussione e soprattutto la liquidità non manca.
Per andare a vedere come verrà finanziata l’economia reale bisogna intanto vedere con quale velocità reagiranno le Banche nel sostenere le piccole-medie imprese.
A tal proposito ci sono canali che stanno nascendo per finanziare direttamente le società aggirando il classico canale bancario e sostenendo con investimenti diretti queste categorie di società. Forse questo può rappresentare una via innovativa più rapida di far pervenire denaro al motore pulsante dell’economia.
Società di investimento e banche si stanno infatti attrezzando in tal senso stringendo un patto con gli stessi investitori che vincola questi ultimi a immobilizzare parte dei loro risparmi nell’intento di supportare piccole e medie imprese o start-up.
Visto il contesto ci pare doveroso pertanto affrontare l’argomento. Le ragioni che generano interesse su questo nuovo universo nascente sono più che fondate.
Intanto oltre ad arrivare là dove le Banche fanno attualmente fatica a sostenere la crescita economica delle PMI, ci troviamo ad affrontare un tema sempre più critico per i nostri portafogli, e cioè la remunerazione dei nostri risparmi su capitale di debito.
Come è noto ormai i rendimenti di un obbligazione portata a scadenza sono prossimi allo zero, e visto il contesto rimarranno tali per diverso tempo, con buona pace per quelli che gridano al risveglio dell’inflazione e dei tassi. Sottoscrivere direttamente prestiti societari di realtà non quotate (se accuratamente selezionate naturalmente) potrebbe far godere di quel premio di illiquidità che caratterizza questo genere di operazioni che nel mondo quotato e pubblico non solo non esiste ma non viene nemmeno in minima parte replicato dai bond di lungo termine. Premio ormai piatto come lo è la curva dei rendimenti.
Tali operazioni di Private Debt, un tempo riservate alle categorie istituzionali, ora si stanno diffondendo a macchia d’olio anche nel mondo retail. Le potenzialità sono alte così come gli intenti. Restano però da valutare i rischi e le asimmetrie informative legati a questo genere di investimenti.
Conoscere il sottostante di questi investimenti risulterà letteralmente impossibile, perciò ai sottoscrittori non resterà altro che affidarsi a coloro che selezionano chi finanziare. La serietà e l’esperienza dell’advisor saranno i punti cardine per effettuare una scelta corretta.
Più di un sospetto in tutta onestà si pone quando operazioni un tempo riservate all’elite vengono date in pasto al popolo; porsi però con scetticismo oltranzista su questo tema non sarà la strada corretta. Per prima cosa perché la montagna di liquidità infruttifera è un aspetto che va affrontato per il bene non solo dei nostri risparmi ma anche per sostenere il rilancio dell’economia domestica. In secondo luogo a nostro avviso è importante concentrarsi su nuovi temi economici che spesso vengono sviluppati da start-up o piccole realtà economiche verso le quali difficilmente confluiscono risorse che troppo spesso vediamo veicolate attraverso l’operato bancario sui soliti player di mercato con business in lenta e progressiva contrazione.
Il consiglio pertanto è di esserci, intraprendendo su Private Debt (e Private Equity) un percorso assistito da alti livelli di consulenza anche di fronte a “prodotti” destinati ad un pubblico retail.
Anche se supportati da importanti iniziative di sgravio fiscale restano pur sempre decisioni in materia di investimento, dove la qualità farà sempre la differenza.
E ancora...”La mega-macchina denominata capitalismo industriale aveva come motore – e per quel che ne resta ha tuttora – l’industria manifatturiera. Il finanzcapitalismo ha come motore il sistema finanziario. I due generi di capitalismo differiscono sostanzialmente per il modo di accumulare il capitale. Il capitalismo industriale lo faceva applicando la tradizionale formula D1–M–D2, che significa investire una data quantità di denaro, D1, nella produzione di merci, M, per ricavare poi dalla vendita di queste ultime una quantità di denaro, D2, maggiore di quella investita. La differenza tra D2 e D1 è un reddito chiamato solitamente profitto o rendita. Per contro il finanzcapitalismo persegue l’accumulazione di capitale facendo tutto il possibile per saltare la fase intermedia, la produzione di merci. Il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati finanziari allo scopo di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro. La formula dell’accumulazione diventa quindi D1–D2”.
Salvo però poi parametrare la crescita globale a indicatori di produttività come il PIL, o dati sull’export o sulla disoccupazione che ci aiutano a stabilire la buona o cattiva salute di un’economia.
Ciò che a questo punto risulta anomalo, ma in linea con quanto scritto dal sociologo buonanima torinese, i mercati finanziari non rispecchino minimamente la contrazione e il clima di incertezza che ci si aspetta sulla ripresa economica globale.
Le crepe finanziarie si “sistemano” con massicce iniezioni di liquidità da parte delle Banche Centrali, quelle economiche hanno una gestione un po’ più complessa…
Gli indici perciò vanno in una direzione e l’economia in un’altra. E questo ormai è un dato di fatto.
C’è da stupirsi quindi che il Nasdaq sia approdato ai suoi massimi dopo lo shock del Covid? Direi di no. Così come non è insensato parlare di scarsa rappresentatività degli indici dell’economia reale.
A patire i cambiamenti post-Covid e a subire gli impatti più gravosi in termini economici sono e resteranno le PMI, e le tasche dei cittadini. Questi soggetti però non compaiono negli indici. Negli indici di Borsa ci sono i big, quelli che sono i primi destinatari delle manovre monetarie delle banche centrali, che troveranno sempre conforto nel supporto finanziario di politiche monetarie e fiscali espansive. E’ evidente che se la domanda dei cittadini resta depressa prima o poi toccherà anche alle grandi società patire la crisi, ma nell’immediato il loro sostegno è fuori discussione e soprattutto la liquidità non manca.
Per andare a vedere come verrà finanziata l’economia reale bisogna intanto vedere con quale velocità reagiranno le Banche nel sostenere le piccole-medie imprese.
A tal proposito ci sono canali che stanno nascendo per finanziare direttamente le società aggirando il classico canale bancario e sostenendo con investimenti diretti queste categorie di società. Forse questo può rappresentare una via innovativa più rapida di far pervenire denaro al motore pulsante dell’economia.
Società di investimento e banche si stanno infatti attrezzando in tal senso stringendo un patto con gli stessi investitori che vincola questi ultimi a immobilizzare parte dei loro risparmi nell’intento di supportare piccole e medie imprese o start-up.
Visto il contesto ci pare doveroso pertanto affrontare l’argomento. Le ragioni che generano interesse su questo nuovo universo nascente sono più che fondate.
Intanto oltre ad arrivare là dove le Banche fanno attualmente fatica a sostenere la crescita economica delle PMI, ci troviamo ad affrontare un tema sempre più critico per i nostri portafogli, e cioè la remunerazione dei nostri risparmi su capitale di debito.
Come è noto ormai i rendimenti di un obbligazione portata a scadenza sono prossimi allo zero, e visto il contesto rimarranno tali per diverso tempo, con buona pace per quelli che gridano al risveglio dell’inflazione e dei tassi. Sottoscrivere direttamente prestiti societari di realtà non quotate (se accuratamente selezionate naturalmente) potrebbe far godere di quel premio di illiquidità che caratterizza questo genere di operazioni che nel mondo quotato e pubblico non solo non esiste ma non viene nemmeno in minima parte replicato dai bond di lungo termine. Premio ormai piatto come lo è la curva dei rendimenti.
Tali operazioni di Private Debt, un tempo riservate alle categorie istituzionali, ora si stanno diffondendo a macchia d’olio anche nel mondo retail. Le potenzialità sono alte così come gli intenti. Restano però da valutare i rischi e le asimmetrie informative legati a questo genere di investimenti.
Conoscere il sottostante di questi investimenti risulterà letteralmente impossibile, perciò ai sottoscrittori non resterà altro che affidarsi a coloro che selezionano chi finanziare. La serietà e l’esperienza dell’advisor saranno i punti cardine per effettuare una scelta corretta.
Più di un sospetto in tutta onestà si pone quando operazioni un tempo riservate all’elite vengono date in pasto al popolo; porsi però con scetticismo oltranzista su questo tema non sarà la strada corretta. Per prima cosa perché la montagna di liquidità infruttifera è un aspetto che va affrontato per il bene non solo dei nostri risparmi ma anche per sostenere il rilancio dell’economia domestica. In secondo luogo a nostro avviso è importante concentrarsi su nuovi temi economici che spesso vengono sviluppati da start-up o piccole realtà economiche verso le quali difficilmente confluiscono risorse che troppo spesso vediamo veicolate attraverso l’operato bancario sui soliti player di mercato con business in lenta e progressiva contrazione.
Il consiglio pertanto è di esserci, intraprendendo su Private Debt (e Private Equity) un percorso assistito da alti livelli di consulenza anche di fronte a “prodotti” destinati ad un pubblico retail.
Anche se supportati da importanti iniziative di sgravio fiscale restano pur sempre decisioni in materia di investimento, dove la qualità farà sempre la differenza.