AGGIORNAMENTO MERCATI: i big del tech americano, un sistema sempre più F.A.N.G. centrico

Se il periodo che stiamo attraversando spaventa per la lentezza nella ripresa economica e il blocco di interi settori produttivi, tutto questo non si può dire valga per i soliti colossi tecnologici americani.
Le trimestrali di AMAZON, APPLE, FACEBOOK, ALPHABET hanno nuovamente sconvolto le aspettative. 
In un trimestre condizionato dalla pandemia, le quattro stelle del Nasdaq hanno messo insieme quasi trenta miliardi di dollari di utile, su circa 200 miliardi di dollari di ricavi. Il rialzo dei quattro titoli nel dopoborsa ha in poche ore aumentato di 214 miliardi di dollari la capitalizzazione totale di Wall Street. Il tutto mentre uscivano i dati sul Pil tedesco pesantemente inferiori alle attese... 
Amazon chiude il trimestre con 5,2 miliardi di dollari di utile, pari a 10,3 dollari per azione, il doppio del risultato di un anno prima e sette volte sopra le aspettative. All’inizio di maggio, nel corso della presentazione dei dati dei primi tre mesi dell’anno, Jeff Bezos aveva avvertito che il secondo trimestre si sarebbe potuto chiudere in perdita, in quanto la società si era impegnata a spendere centinaia di milioni di dollari in investimenti nella messa in sicurezza dei dipendenti e creazione di nuove infrastrutture. I ricavi sono volati a 88,9 miliardi di dollari (+40%). 
Apple ha guadagnato 11 miliardi di dollari su 60 miliardi di dollari di ricavi, cifre anch’esse che surclassano le aspettative del consensus. Nonostante molti negozi siano ancora chiusi, il terzo trimestre fiscale ha raggiunto livelli record di vendite grazie alla spinta di tutti i suoi prodotti, dall’iPhone, al Mac, all’iPad e ai servizi. La società ha anche annunciato uno split delle azioni, salite dell’80% da inizio anno:  4 nuove ogni una attuale. 
Facebook ha registrato un raddoppio dei profitti rispetto allo scorso anno a 5,2 miliardi di dollari. I ricavi, per quanto frenati dal boicottaggio di alcuni grandi investitori pubblicitari, sono saliti dell’11% a 18,7 miliardi di dollari. Gli utenti attivi su base mensile sono saliti a 2,7 miliardi. Tutte le metriche hanno stracciato le aspettative degli analisti. 
Alphabet, chiaramente la più colpita dalla frenata della pubblicità in tutto il mondo, ha visto i ricavi di Google scendere a 31,6 miliardi di dollari, ma un miliardo meglio delle attese. Sopra le previsioni anche l’utile, a sette miliardi di dollari. 
Questi non possono più essere letti come semplici numeri. Portano con sé infatti i venti di un cambiamento nei consumi che ha dell’epocale e al contempo dello sconvolgente. Il loro proliferare cavalca l’onda positiva della semplificazione, a cui l’uomo si aggrappa nelle sue abitudini quotidiane e fa propria. È così da sempre naturalmente e da sempre è sinonimo di progresso.
Non più indietro di qualche anno fa ricordo perfettamente accese discussioni sull’ipervalutazione di questi titoli, sul loro accostamento ad una bolla finanziaria e ad una leva scatenatasi su queste società, figlia di una probabile quanto pericolosa euforia finanziaria. Quello che però sfuggiva probabilmente a molti di noi è che se l’essere umano “riconosce” in uno strumento la possibilità di migliorare in qualche modo il proprio status lo desidera e deve averlo assolutamente. E finché ci sono esseri umani sul pianeta che non dispongono ancora di tale strumento allora è lecito attendersi ancora una crescita e diffusione per questi business. 
Queste realtà, perciò, non possono essere trattate come semplici aziende con un loro mercato di riferimento fatto di competitors e targets su cui stimare la crescita. Queste realtà non hanno un mercato di riferimento ma sono diventate IL MERCATO a cui fare riferimento. Accumulano ricchezze, ma assorbono anche altre realtà che tendono a sgonfiarsi e che ahimè davano lavoro e distribuivano ricchezza e reddito a intere fasce di popolazione. Affrontare questo aspetto rappresenterà una delle sfide più cruciali di questo secolo al pari di quelle climatiche e sanitarie.
Gli unici freni alla loro crescita sono costituiti dai player speculari cinesi e da null’altro.
Questo lo sanno bene Trump e il suo entourage che ormai vedono come ben più di una minaccia alla loro crescita il tech asiatico e i colossi come HUAWEI, ALIBABA, TENCENT... qui si tratta infatti di “accaparrarsi” il mercato e per farlo bisogna che gli utenti utilizzino la propria tecnologia e propri algoritmi.
Lo spunto finanziario che rappresenta il fine del nostro post di oggi prende corpo dalle provocazioni che spesso emergono dalla comparazione dell’andamento dei mercati americani e quelli europei. 
Spesso ci troviamo ad analizzare come gli indici europei siano fisiologicamente indietro rispetto a quelli americani. Tale differenza a dire il vero ci accompagna da molti decenni e non stupisce più di tanto, ma in qualche modo è anche vero che in passato le Borse occidentali tendevano comunque a riavvicinarsi vivendo fasi espansive in modo alternato. Ora questa “regola” si sta via via dissolvendo e i responsabili come avrete già capito sono proprio loro. 
Ancora più sibilline sono affermazioni quali “se escludessimo i FAANG dall’S&P500, l’EuroStoxx non sarebbe così distante”. In parte è vero. Il punto è che gli USA li hanno e l’UE no. E questo dà fermento e terreno fertile per altre realtà tecnologiche che attraggono e creano nuova ricchezza.



Nonostante il Recovery Fund e altre positive iniziative che possono lasciare un certo ottimismo, eviterei di correre eccessivamente con la fantasia e prendere atto che il gap tecnologico è l’elemento determinante del divario di crescita tra i vari Paesi e questo è e resterà un dato di fatto, trascritto oltreché negli indici di Borsa nella concentrazione della ricchezza.





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