AGGIORNAMENTO MERCATI: i numeri della domanda
È probabilmente ancora presto, ci troviamo ancora in un clima di incertezza, ma qualche dato sull’andamento dell’economia reale salta già agli occhi. Il rischio che la forza lavoro piombi in una povertà strutturale è oggettivamente concreto. Che i vari Governi si siano prodigati per mitigare gli effetti della violenta impennata di disoccupazione che si è verificata a seguito del lock-down generale di marzo è dimostrato dai numeri. Dall’ultimo rapporto del FMI gli stimoli fiscali messi in circolazione a livello globale ammontano a circa 18mila miliardi di dollari, e nonostante tutto il crollo del PIL mondiale genererà una perdita di 12mila miliardi a fine 2021.
Il riassorbimento della forza lavoro oltre a risultare lento è minacciato però dalle potenziali chiusure definitive di molti esercizi commerciali strozzati da una congiuntura economica ormai da tempo non più favorevole alle piccole attività. Queste ultime ahimè rappresentano ancora il pilastro dell’economia mondiale e contribuiscono in modo fondamentale ad alimentare il potere d’acquisto e la domanda aggregata in definitiva.
Ciò che la Fed ieri non è stata in grado di comunicare al mondo intero, che ormai tramortito e sconvolto dagli eventi attende un colpo di bacchetta magica per ricominciare a credere nella ripartenza, è un reale antidoto che colleghi la spinta monetaria in crescita economica. Un compito, peraltro, non di sua competenza, ma sicuramente un compito da risolvere alla svelta.
Anche perché la fotografia dell’economia reale, quella che ci dice come sta veramente il tessuto sociale e produttivo di un Paese, ad oggi immortala negli States situazioni di questo tipo:
circa 30 milioni di americani vivono col sussidio di disoccupazione (a fronte del 1.6 milioni dell’anno scorso), l’utilizzo del 24% in più di carte di credito da parte dei privati sempre rispetto all’anno precedente, migliaia di ristoranti solo a New York hanno definitivamente chiuso, Manhattan sta vedendo un record di locali sfitti che la sta facendo ripiombare nell’incubo della crisi finanziaria del 2008.
Ecco perché la Fed “delude” i mercati non dando soluzioni a breve e rimarcando quanto tempo sarà necessario per ricostruire fiducia, piena occupazione e inflazione. In particolar modo a preoccupare l’istituto centrale americano è il fatto che già in piena occupazione si stenta a generare crescita nei prezzi, figuriamoci in un contesto dove consumi e domanda sono schiacciati dalla paura.
Una ventata di ottimismo però ce la dà il miglioramento delle stime sul PIL (dal -6,5 di giugno al -3,7). L’OCSE ha rivisto anche l’andamento del PIL italiano in lieve miglioramento da -11,3 a -10,5, proiettando addirittura in area positiva quello cinese.
Non sembra invece preoccupato il sentiment degli investitori sul tech internazionale. La corsa a scommettere su clouding, digital, robotic e software sembra essere inarrestabile tanto da chiedersi continuamente dove possa condurre questa eccessiva concentrazione settoriale.
La sensazione è che siano spesso gli eccessi a menare le danze (che provengano essi da paura o euforia poco importa). Una forza equilibratrice con ogni probabilità ridarà valore a quei settori da cui si è fuggiti: il mondo value, quello produttivo più tradizionale per così dire, e probabilmente si assisterà ad uno sgonfiamento tanto repentino quanto violento dai tecnologici.
Questo però ad oggi sembra uno scenario ancora lontano. Intanto perché i fondamentali e l’occupazione, come dicevamo, stentano ancora, e finché l’economia reale non darà segni concreti di rilancio, interi settori continueranno a soffrire così come i numeri dei loro bilanci. Infine la liquidità di cui oggi dispongono investitori istituzionali non può che riversarsi in ambiti che risultino il più “promettente” possibile e che prestino meno rischi economici possibili presentando una struttura societaria più “snella” possibile, e sotto questo punto di vista le società ad elevato contenuto tecnologico rappresentano il target perfetto.
In conclusione, fermo restando l’innegabile valore da cercare nel mondo dell’equity piuttosto che in quello dei bond, la situazione di ipercomprato su alcuni settori indubbiamente più promettenti e quindi da sovrappesare sistematicamente nei portafogli), impone a nostro avviso una certa cautela, per certi versi confermata anche dalla minor forza nelle ultime settimane della spinta dei principali indici. Da tenere d’occhio anche il movimento del dollaro, che quasi in sordina ha messo a segno una svalutazione di 7 punti nell’arco di 2 mesi, aprendo scenari (e opportunità) su mercati che sinora hanno fisiologicamente stentato.