AGGIORNAMENTO MERCATI: cosa ci dicono le Banche Centrali


Delle tante parole dette in questi giorni dagli ormai unici protagonisti globali dei mercati è sorta un’incognita sull’interpretazione ufficiale, della FED in particolare, delle attese sull’inflazione.
È del tutto evidente che nemmeno gli economisti più esperti abbiano la più pallida idea se l’impennata dei consumi e della domanda globale post lock-down sia un effetto sporadico dovuto all’attuale maxi iniezione di liquidità ed ai sostegni governativi e quindi destinata ad affievolirsi in breve tempo o rappresenti invece il primo passo verso una nuova fase di crescita reale duratura e convincente.  
L’unica cosa certa è che il prodotto interno lordo statunitense è cresciuto nel primo trimestre del 2021 del 6,4% (tasso annualizzato) rispetto ai tre mesi precedenti. La lettura finale ha quindi confermato il dato preliminare, dopo il +4,3% registrato nel quarto trimestre del 2020. Le vendite sono aumentate del 9,2%, mentre la lettura preliminare prevedeva un +9,4%. L’indice dei prezzi anch’esso è stato confermato in rialzo del 3,7%, come quello 'core' al +2,5%. 
Sulla ripresa della domanda pertanto c’è poco da discutere. Diciamo che se metto nel sistema denaro e sono abituato a consumare difficilmente mi posso aspettare un risultato diverso, se in più si arriva da un anno di clausura tale effetto non può che amplificarsi. 
Ciò che però ha generato timori ed è stato oggetto di svariate interpretazioni è l’annuncio di possibili aumenti dei tassi per controbilanciare l’effetto distorsivo dell’inflazione da parte della FED previsti per il 2023… 
Esatto 2023.
Ci piacerebbe a questo punto però rivisitare il quadro macro-monetario in cui ci stiamo muovendo e riproporlo in particolar modo ai più ansiosi ed emotivi. Parlare di inflazione non è sinonimo di immediati interventi restrittivi sulla base monetaria globale. Non può esserlo perché ad oggi non sappiamo ancora che tipo di inflazione stiamo registrando. La nostra economia non è in salute, si sta ancora leccando le ferite e soprattutto vive ancora i timori sul futuro decorso della pandemia. Il programma di sostegno monetario della Fed prevede l’acquisto mensile di 120 miliardi di dollari di titoli finché il mercato stesso non sarà in grado di essere per così dire… “autonomo”. 
Se poi volgiamo lo sguardo alla BCE lo scenario, come spesso accade, è ancora più embrionale.
I dati, quindi, vanno letti nella loro interezza. Ci sono fenomeni che si identificano dopo una loro ripetuta manifestazione. Se interpretati in modo non corretto possono generare dei danni consistenti. Non è un caso che la FED l’anno scorso (ma già nel 2019) abbia ribadito di muovere al rialzo i tassi solo successivamente ad una rilevazione media dell’inflazione protratta nel tempo. Le impennate posso rappresentare dei falsi segnali.
Le critiche a Powell che prende sottogamba l’effetto inflazione ci sembra riflettano un po’ quell’impulsività da notizia tipica della nostra era. Non facciamo in tempo ad elaborare un’informazione che subito dobbiamo fare i conti con altre dieci che arrivano. 
Si fa fatica a creare una logica, a mantenere le corrette priorità, a non perdere il senso dei processi. 
Questo un banchiere centrale non se lo può permettere…
Quello che ormai è, e sarà molto probabilmente, fuori controllo è il debito. Quel debito che ci permette di mantenere lo stesso tenore di vita di un tempo, in grado di anestetizzare ogni sofferenza economica dell’uomo e che ormai non può più essere compito solo dei governi ma che necessita dell’aiuto incondizionato di chi ha in mano il signoraggio. Un signoraggio, quello delle banche centrali, non più solo al servizio della stabilità dei prezzi nel sistema economico, ma pilastro ormai della sopravvivenza economica globale, sostenitore incondizionato di ogni forma di debito.
Va di moda in questi giorni perciò puntare il dito sull’erosione del potere d’acquisto che l’inflazione sta scavando sui nostri conti correnti. Ma ci siamo chiesti quanto ci rende un’obbligazione per impiegare il nostro denaro? Nulla, se naturalmente dotata di un merito creditizio accettabile. 
Meno visibile ancora è il deprezzamento valutario. Una svalutazione monetaria silenziosa e incessante ma che, se aumenta la base monetaria globale, non può che continuare a incidere. Un appeal peraltro delle criptovalute è proprio quello di non essere replicabili e quindi passibili di potenziali svalutazioni. Questo in parte è la ragione del loro recente successo. Segno che l’argomento deprezzamento monetario è molto sentito al punto da far confluire denaro su una forma di riserva di valore ancora non regolamentata.
Al pari dell’inflazione perciò la svalutazione monetaria e il debito fuori controllo saranno le future minacce per il risparmio privato, che potranno essere affrontati però soltanto dopo una solida ripresa economica e una piena occupazione libera dall’annacquamento dei sussidi. 
È quindi una questione di priorità… le banche centrali avvertono che l’inflazione è un dato che in questo momento non può (o meglio non deve) far paura perché altri ben più pericolosi vanno controllati. Meglio farsi mangiare un po’ di denaro dall’inflazione che non collassare strozzati dal peso degli interessi sul debito o ritirando moneta in una fase di crescita ancora timida e acerba.
In un’epoca dove la sofferenza non va di moda le scelte dolorose non sono contemplabili. 
La direzione intrapresa dalle politiche monetarie nell’ultimo decennio non è altro che il riflesso di una società che rifiuta il dolore, privandosi probabilmente per certi versi del suo potere educativo e catartico. Figuriamoci allora dopo una situazione critica post pandemica come quella attuale se dovessero terminare gli anestetici…
A tal proposito Byung-Chul Han, un famoso filosofo contemporaneo, ci ricorda che “… l’assoluta medicalizzazione e farmacologizzazione del dolore impediscono che esso si faccia linguaggio, anzi critica. Ciò sottrae al dolore il suo carattere oggettivo sociale. Mediante un’anestesia indotta per via medicamentosa o mediale la società si rende immune alla critica. Anche i social media e i videogiochi fungono da anestetici. L'anestesia permanente della società impedisce la scoperta e la riflessione, opprime la verità…”


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