AGGIORNAMENTO MERCATI: la regola dell'incertezza



Quando ci troviamo di fronte ad un cambiamento, più comunemente definito “transizione”, per quanto doveroso e unanimemente condiviso esso sia, la strada da percorrere non risulta mai del tutto lineare.
È questo ciò che stiamo vivendo durante la tanto necessaria transizione energetica. Un passaggio che ci trova tutti d’accordo ma che comincia a far emergere le prime difficoltà. Il termometro di queste difficoltà è rappresentato in questi giorni dai mercati finanziari, dall’impennata dei prezzi dei combustibili fossili e dallo spettro dell’inflazione “cattiva”.
È bene infatti sapere distinguere la natura dell’inflazione. Un aumento dei prezzi dei beni può essere determinato da fattori positivi e quindi rappresentare un fenomeno endogeno in una fase di crescita, che se non lasciato fuori controllo, resta una conseguenza naturale e sana di una fase di sviluppo.  Questo genere di inflazione le economie occidentali (specie l’Europa) la invocano a gran voce dal crollo del sistema finanziario del 2008. 
Quella però a cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi è una variazione dei prezzi più sospinta da anomalie lato offerta che da una robusta crescita della domanda. Ovviamente la speranza è che politiche fiscali accomodanti, politiche redistributive della ricchezza e altre iniziative pubbliche possano in qualche modo sospingere il reddito pro-capite nei prossimi anni dando un impulso inflattivo più sostenibile nel tempo. Oggi onestamente l’inflazione a cui stiamo assistendo lascia più di una perplessità.
Le discese degli indici della settimana scorsa e le turbolenze dei mercati in genere incorporano in parte questi timori. Momentaneamente scongiurata dalle promesse di fornitura di Putin all’Europa di gas naturale, da una ripresa produttiva di carbone riattivata dal Governo cinese, l’impennata dei prezzi delle materie prime è una distorsione in grado di impoverire gli utenti finali, oltreché deprimere l’entusiasmo sulla doverosa transizione energetica. La gradualità dei cambiamenti è un’antica legge. La frenesia e la corsa a cogliere le opportunità future è un driver che va ponderato e pesato con i reali consumi energetici mondiali, e questo messaggio si è fatto sentire.
La ragione per cui i banchieri centrali poco si fidano del dato sull’inflazione è probabilmente proprio questa (oltre al timore di affrontare il macigno del debito). Prima di approcciare qualsiasi forma di tapering, la piena occupazione e la crescita dei prezzi difficilmente basteranno se non affiancate da una robusta crescita. 
Una crescita che dovrà coinvolgere PIL, consumi e salari.
Quali certezze possono fornirci perciò i futuri dati su PIL e inflazione? 
Se mal interpretati, poche. E lo sanno bene Powell e compagni. L’idea di una progressiva normalizzazione delle politiche monetarie è un desiderio ambizioso quanto pericoloso. Se poi scopriamo che il Paese a maggior trazione anteriore come la Cina deve parte della sua crescita all’uso sconsiderato di debito e cemento, non ci resta che aspettarci delle banche centrali ancora protagoniste nella stabilizzazione dei mercati per anni…
Hanno smesso di fare teoria gli stessi economisti. A vincere il Nobel ieri sono stati Card, Angrist e Imbens grazie ad un prezioso lavoro di studio empirico che ha permesso di leggere diversi fenomeni economici. Un lavoro quasi di campionatura per la comprensione delle relazioni causa-effetto di alcuni importanti temi socio-economici. 
Alcuni concetti intuitivi sono stati infatti stravolti dal risultato delle loro indagini. David Card assieme ad Alan Kruger (deceduto qualche anno fa, ma probabilmente meritevole anch’egli del Nobel) hanno dimostrato come nei settori a basso salario americani il salario minimo non solo consente di aumentare le retribuzioni dei lavoratori ma può contribuire ad un aumento del livello dell'occupazione. 
Così anche nel settore dell'immigrazione si sono raggiunte conclusioni inattese. I flussi migratori, infatti, dei profughi cubani verso Miami ebbero effetti nulli sull'occupazione e sui salari dei lavoratori autoctoni, leggermente più modesti su quelli degli altri precedenti immigrati. 
Interessanti e soprattutto più prevedibili i legami invece tra istruzione degli individui e redditi futuri nonché a dotazioni scolastiche più elevate corrispondenti livelli più elevati di preparazione degli studenti. 
A testimonianza del fatto che sull’utilità dell’istruzione svanisce ogni forma di incertezza…
In estrema sintesi i mercati ora scontano la fase post-euforica da inondazione monetaria. Resta ancora un sistema pieno di liquidità e totale supporto degli istituti centrali; perciò l’azionario offre ancora potenzialità interessanti (e forse l’unica opportunità di mercato). Certo si profilano alcune incognite in più legate alle tempistiche della rivoluzione energetica e del riassetto finanziario di Pechino che porteranno con sé volatilità, ma anche nuove opportunità di medio-lungo periodo.




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