FOCUS: ma la consulenza è evoluta o no?
Si sta facendo largo nel settore finanziario, ma senza troppa convinzione, perlomeno in Italia, quella che viene conosciuta come “consulenza finanziaria a pagamento” spesso identificata come “evoluta” rispetto a quella comunemente definita “di base”.
Ma visto che ancora il tasso di alfabetizzazione finanziaria vede il nostro paese dietro a Stati come Indonesia, Estonia, Georgia, o Montenegro, come si evince da un'indagine effettuata dalla Banca d'Italia lo scorso anno, crediamo sia doveroso che gli italiani comincino a entrare nel merito di cosa voglia dire ricevere una consulenza finanziaria e quali tutele possano avere sul loro patrimonio essendo scarsamente motivati a gestirlo autonomamente.
Molto spesso il risparmiatore ha individuato nella banca il fulcro decisionale sui propri denari. Difficilmente ha cercato alternative nell'intento di ottimizzare, o anche solo diversificare, le proprie soluzioni di investimento. In particolar modo non ha mai approfondito il significato di quello che oggi vuole rappresentare la cosiddetta consulenza finanziaria: un po' per timore, un po’ per assenza di fiducia, ma principalmente per mancanza di istruzione, come dicevamo, in materia finanziaria.
Intanto cos’è la consulenza finanziaria?
“Il servizio di consulenza in materia di investimenti consiste nella prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’impresa di investimento riguardo una o più operazioni relative a strumenti finanziari (art. 1, comma 5- septies, TUF)."
La personalizzazione implica che le indicazioni siano adatte al cliente, ossia basate sulle sue caratteristiche e richieste.”
La definizione del TUF non lascia spazio ad equivoci. La consulenza è un orientamento utile a perseguire gli obiettivi finanziari degli individui che ovviamente variano a seconda delle esigenze dei singoli.
Nel mondo anglosassone, specie negli USA, la figura del consulente finanziario è ormai diffusa e utilizzata, al pari del consulente fiscale, immobiliare o dell’avvocato, da più di vent’anni. Ad eccezione di chi si occupa personalmente dei propri risparmi perché appassionato della materia o addetto ai lavori, nessuno si sognerebbe mai di presentarsi sprovvisto di consigli da parte di un soggetto specializzato e fidato nella propria banca per sottoscrivere un investimento.
Chissà per quale motivo però nel nostro Paese questa consapevolezza non è assolutamente diffusa. Il risultato è che spesso il denaro viene investito in modo incoerente rispetto alle necessità del risparmiatore, partendo dalla logica del prodotto da vendere, già confezionato da un istituto finanziario, anziché dalle esigenze e dagli obiettivi di ognuno di noi. Siccome però noi non acquistiamo tutti le stesse cose, non compriamo case tutte uguali, ma abbiamo preferenze che ci inducono a scelte differenti, è evidente che questo modello non funzioni e risulti inadeguato e poco comprensibile, generando alla lunga un sostanziale timore e sfiducia verso il sistema finanziario. Conseguenza di questo scenario è la progressiva diffidenza dei privati ad investire il proprio denaro, facendo aumentare la massa di depositi infruttiferi presenti sui conti correnti. Il punto è che la finanza può essere spiegata e non rappresenta un mondo parallelo alle nostre comuni conoscenze. Anzi, è fondamentale sapere come sono impiegati i nostri risparmi, è un nostro diritto che spesso viene trascurato un po’ per pigrizia del risparmiatore, un po’ per scarsa trasparenza degli operatori finanziari…
È qui che entra in gioco la figura del consulente, che ha un ruolo di ascolto, istruttivo, portando ad un maggior grado di consapevolezza l’investitore. Ad una maggior consapevolezza non può che corrispondere una maggior serenità.
Mentre noi italiani però stiamo ancora cercando di capire se ci serve o meno un consulente, nel mondo anglosassone il dibattito si è evoluto nella scelta tra le due tipologie di figure di consulenti finanziari presenti sul mercato: il fee-only financial planner o il fee-based financial planner. In buona sostanza l’inquadramento della figura consulenziale in ambito finanziario si divide tra chi viene remunerato con parcella sul servizio svolto e chi percepisce una provvigione da parte dell’istituto finanziario per cui opera.
L’idea di fondo è che una consulenza priva di conflitti di interesse con l’istituto che fornisce gli strumenti porta ad un livello di servizio sicuramente più incentrato alla soddisfazione e agli obiettivi dei clienti; ma esistono ancora diverse difficoltà prima che si giunga ad un consulente “puro”, cioè totalmente slegato dagli istituti finanziari, che per non dilungarmi eccessivamente tralascerei per ora…
Aggiungo soltanto che, vivendo in un sistema in cui le società di investimento del risparmio pagano le banche collocatrici, gli stessi consulenti tendono ad essere pagati a loro volta. È il caso di tutte le reti di consulenza italiane per esempio.
È questo l’elemento di disturbo maggiore al momento che pesa sulla commissione di consulenza.
Alcune realtà come Fineco e Banca Generali, ad esempio, si sono attrezzate per retrocedere direttamente al cliente quanto percepito dalla banca da parte delle società di gestione dei fondi, nel caso costui paghi già una commissione di consulenza, in modo da depurare al massimo il conflitto di interesse che ne potrebbe derivare al momento delle scelte di investimento.
Questo a parer mio è un passo importante verso la trasparenza tra i soggetti coinvolti: istituto finanziario, consulente e cliente finale. Ad oggi in Italia questo servizio è denominato “consulenza evoluta” e porta effettivamente con sé le necessarie evoluzioni che la professione del consulente finanziario deve conseguire per potersi ritenere effettivamente tale.
La strada da percorrere è ancora lunghissima. Troppe logiche (non sempre trasparenti e all’insegna del libero mercato) difficili da ribaltare sono ancora in piedi e ostacolano la sua diffusione.
Ciò che resta un punto di partenza su cui ragionare, riprendendo quanto espresso all’inizio, è la ricerca, e la relativa sua soddisfazione, del supporto di qualcuno in ambito finanziario, qualcuno che conosca la nostra storia e i nostri obiettivi, qualcuno di cui valga la pena fidarsi perché riconosciamo in lui professionalità e onestà.
Della sua utilità, pertanto, si fa fatica a discuterne. Quel qualcuno deve saper avere cura del nostro patrimonio, da un lato a livello micro scegliendo ed effettuando la continua manutenzione degli strumenti finanziari in cui è investito, dall’altro anche a livello macro, cioè esser capace di avere una visione di insieme della ricchezza familiare, la sua liquidità complessiva, la programmazione della sua destinazione futura, la necessaria ottimizzazione fiscale; insomma incarnare la figura del confidente in ambito economico-finanziario.
E noi dobbiamo pensare di pagare essenzialmente questo, oltre ovviamente ai servizi bancari che “ospitano” il lavoro del consulente e il risparmio privato.