AGGIORNAMENTO MERCATI: Inflazione, Variante Omicron, cos’altro ci infiammerà la volatilità nel 2022?
Ormai la maggior parte degli operatori concorda su un aspetto: il 2022 sarà un anno meno immune alle turbolenze per i mercati finanziari, a fomentare questi timori contribuiscono l'innalzamento dell'inflazione e le mutazioni nonché le relative sue diffusioni del covid.
L’inflazione intanto è un argomento su cui molti si dividono. C'è chi sostiene che possa rappresentare un fenomeno duraturo nel tempo e che quindi vada trattata adeguando i tassi di interesse in modo permanente e strutturale, chi invece intravede in questa fase delicata della storia dell'economia globale e del commercio una momentanea strozzatura dal lato dell'offerta che porta a un'impennata solo temporanea dell'inflazione.
Per quanto non sia semplice farsi un'idea precisa sulla questione, la personale sensazione sulle attuali dinamiche dei prezzi ci porta a considerare la seconda opzione più vicina alla realtà. C'è da precisare in primo luogo che le economie nelle varie aree geografiche del globo corrono intanto a velocità differenti. Sebbene da un lato tutti i Paesi stiano riscontrando forti difficoltà nel reperimento di beni dalle materie prime ai prodotti finiti, per ragioni legate sia a difficoltà produttive non in grado di coprire la domanda (semiconduttori ad esempio), sia ai diffusi blocchi nel settore dei trasporti, solo alcuni stanno procedendo ad adeguamenti salariali e ad un convincente aumento del potere d'acquisto dei lavoratori.
Negli Stati Uniti, per esempio, l'inflazione sta correndo sostenuta infatti anche dagli aumenti salariali in diversi settori dell'economia a cominciare da quei settori più umili della catena produttiva sempre più snobbati della forza lavoro che impongono perciò un'adeguata crescita salariale.
Ancora indietro invece resta L'Europa e non è un caso che la BCE non abbia minimamente accennato a politiche di normalizzazioni sui tassi.
Resta in ogni caso un argomento molto delicato in quanto l'impatto di una politica dovish troppo repentina è ben noto ai banchieri centrali, consci di quali devastanti conseguenze possa portare con sé sul credito e sui mercati finanziari in generale.
Perciò inflazione e covid nell'anno che verrà saranno con ogni probabilità catalizzatori importanti della temuta volatilità. ma la vera domanda è: saranno gli unici elementi di disturbo?
È probabile di no; ma soprattutto il mercato sembra spesso prendere le misure su ciò che già conosce, ciò che invece lo scuote è quello che non conosce o che in qualche modo sottovaluta.
Se dovessimo perciò provare a individuare un particolare fenomeno in grado di scatenare incertezza e panico sui mercati ci concentreremmo probabilmente sulle dinamiche politiche e commerciali che stanno caratterizzando le due superpotenze mondiali: Cina e Usa.
Quello che stiamo notando negli ultimi mesi in Cina non è una semplice riforma giuridica col solo obiettivo di revisionare alcuni settori produttivi del Paese, come alcuni operatori di mercato stanno argomentando in merito ai cambiamenti normativi di carattere socio-economico a cui stiamo recentemente assistendo.
La sensazione che emerge dal decisionismo e dal massiccio intervento pubblico nella vita privata, così come su tutto il sistema economico produttivo cinese, manda a nostro avviso un messaggio più radicale.
Esiste una consapevolezza di fondo oggi, che mancava fino a qualche anno fa, di forza politico-economica (e militare), di coesione collettiva, che permettono alle autorità cinesi di fare a meno di compromessi. Il mercato interno, che vede 1.402 milioni di utenti sempre più formati, istruiti e tecnologici, è maturo per potersi sviluppare in autonomia, scrollandosi di dosso senza alcuna paura tutto ciò che può minacciare la crescita e l'affermazione della realtà cinese.
La guerra dei dazi non è stato un fenomeno estemporaneo che ha visto un “eccentrico” repubblicano litigare con un dittatore per qualche miliardo di dollari… qui la posta in gioco si fa sempre più alta e ora la storica super potenza occidentale può solo più giocare un ruolo di spettatore sulle mosse del nemico.
Il piano di crescita cinese ha tutta l'aria di una vera e propria marcia verso la gloria. Il ripristino di valori orientali messi in discussione dal capitalismo occidentale, fatto entrare dalla porta principale durante l’era di Deng Xiao Ping, si mischiano col desiderio nazionalistico di supremazia sulle altre civiltà. Una spinta che parte dall’alto ma trova profondo sostegno dal basso, nelle classi sociali più povere ma anche più ambiziose della società cinese. Un neo-maoismo che si fonde con l’orgoglio razziale costituiscono gli elementi cardine del sentimento di massa alla base del “sogno cinese”.
Dopo Hong Kong, Taiwan, il padrone dei semiconduttori, potrebbe rappresentare il nuovo obiettivo di Pechino; una mossa che potrebbe mettere la parola fine al processo di globalizzazione, generando nuove tensioni politiche, oltreché finanziarie naturalmente…
Questo non significa che la Cina sia disposta a rinunciare al mercato globale, ma sicuramente ci vuole partecipare con le sue regole e senza scendere troppo a compromessi. Il primato tecnologico resterà sempre l'obiettivo principale delle due superpotenze, probabilmente perseguito con modalità differenti. Ne è un esempio lo scetticismo espresso da Xi Jin Ping sul metaverso per esempio (ma non tutta la grande imprenditoria americana è allineata sull'argomento; si vedano le recenti perplessità espresse da Elon Musk sul tema). Quello che è certo è che si tratta di guerra aperta e questa situazione non può che portare incertezza e tensione. Paradossalmente il Covid sta smorzando e mascherando gli effetti di questo attrito che resta però il capitolo cruciale dell'equilibrio globale del prossimo decennio.