AGGIORNAMENTO MERCATI: nuovi equilibri macro, chi sale e chi scende
La tensione politica attuale, seconda soltanto alla tragedia di un popolo dilaniato dalla guerra, determina impatti sulle scelte del portafoglio di ognuno di noi, non solo dal punto di vista tattico, ma con buone probabilità in modo strutturale. In altre parole proviamo a individuare gli impatti duraturi del conflitto in Ucraina a prescindere dall’esito finale.
In primo luogo l’isolamento dell’economia russa è e resterà per lungo tempo un dato di fatto da cui difficilmente si potrà tornare indietro. Sconti ad un Paese (o meglio ad un dittatore) resosi responsabile di crimini di guerra, rappresentano uno scenario altamente improbabile.
Non è tanto la recessione in Russia che porterà sconvolgimenti profondi (l’economia russa vale 1,48 trilioni di USD, un 2% c.a. rispetto al PIL globale), quanto l’ulteriore impennata del costo di diverse materie prime con impatti più signifiativi chiaramente per quei Paesi con maggiore import exposure.
Aspettiamoci quindi un livello inflattivo strutturalmente elevato per l’anno in corso con picchi su alcune commodities particolarmente coinvolte quali Gas, Frumento, Palladio, Nichel e ovviamente Petrolio che dipenderanno anche dalla durata del conflitto.
L’isolamento di Putin avrà conseguenze a livello europeo su diversi settori senza ombra di dubbio.
In primo luogo è già stata varata a livello comunitario un aumento della spesa militare che impatterà per circa il 2% del nostro Pil (che non è esattamente poco…). In secondo luogo e con conseguenze più “diffuse” verranno implementate con maggior insistenza politiche di autonomia energetica del continente, che andranno a toccare prevalentemente fonti rinnovabili, green energy e riapriranno probabilmente l’annoso dibattito sul nucleare. Ciò che però preoccupa maggiormente l’Eurotower è che il processo di trasformazione non si cambia con uno schiocco di dita ma attraverso sforzi che potranno protrarsi per decenni. Pochi Paesi europei si sono mossi per tempo e, soprattutto i più produttivi, si sono legati al gas russo indissolubilmente, essendo la fonte energetica più economica e con minor costi infrastrutturali da sostenere.
Spostandosi però dall’Europa, l'invasione russa dell'Ucraina potrebbe essere stato un pretesto per un'estensione del sell-off già presente nei mercati azionari. Il vero responsabile della caduta degli indici è l'aspettativa di una Fed aggressiva, un'alta inflazione e un'economia statunitense sempre più debole. La guerra Russia-Ucraina potrebbe accelerare il percorso della politica hawkish della Fed.
Lo scenario però non è esattamente “promettente”. Se paragoniamo la situazione attuale a crisi energetiche del passato, causate peraltro spesso dall’insorgere di conflitti, l’economia americana ha sempre finito per fare i conti con inflazione e conseguente recessione economica. Ci riferiamo per esempio alla guerra dello Yom Kippur, scoppiata nell'ottobre 1973 che scatenò la prima crisi petrolifera, o al conflitto Iran-Iraq del 1979 che colse alla sprovvista l’economia americana alle prese già con una fase di rialzo dei tassi alla quale si sommò l’improvvisa impennata del petrolio, facendo piombare in recessione tutte le economie occidentali.
Se da un lato è vero che l’intero pianeta all’epoca dipendeva in modo più radicale dall’oro nero, si possono intravedere delle similitudini inquietanti a quello scenario. Una su tutte è la presenza dell’inflazione già prima del conflitto. Un’inflazione che ha spinto talmente in basso i tassi reali da indurre la Fed ad accelerare verso la linea del loro rialzo a qualsiasi costo. E, considerato il fatto che, tra debito ai massimi storici e consumi minacciati dall’escalation del caro-vita un po’ ovunque, il fenomeno stagflattivo è naturale conseguenza, le Banche Centrali dovranno prestare massima attenzione a non deprimere troppo la crescita, che non tarderà a dare segnali preoccupanti di contrazione già dalle prossime rilevazioni.
Il recente sondaggio sulle attività manifatturiere in USA ha mostrato un crollo dell'attività, preannunciando un ampio raffreddamento dell'economia; i profitti aziendali nei prossimi mesi sono in serio pericolo. Il modello GDPNow della Fed di Atlanta è un altro indicatore che lancia segnali d'allarme; prevede che la crescita del PIL USA scenderà a zero nel primo trimestre del 2022. L'impennata dei prezzi dell’energia intacca il reddito reale disponibile per i consumatori, costringendoli a ridurre la spesa per altre cose; anche la forza del dollaro e i costi crescenti per l'indebitamento, attraverso il rialzo dei tassi, fungono indirettamente da tasse che frenano la crescita.
E poi, possiamo girarla come vogliamo ma la ragione per cui una politica monetaria restrittiva fa scendere l'inflazione è perché drena liquidità dal sistema e fa sì che tassi più alti colpiscano la domanda, rallentando così l'economia. Ora resta solo da comprendere se il mercato abbia già effettivamente scontato tali rialzi, fermo restando che il dato sull’inflazione “core” resti sui target attuali. Prendere provvedimenti per contrastare questo tipo di inflazione è la sfida per eccellenza e il conflitto non ha fatto altro che soffiare sul fuoco. In questa morsa, che vede da un lato l’erosione della ricchezza per via di tassi reali fortemente negativi e dall’altro una pericolosa contrazione della crescita, al momento non frenerà la politica restrittiva della Fed, semmai le imporrà massima cautela ed un “fine tuning” su tutte le leve a sua disposizione per scongiurare recessione e violente discese dei mercati. Un’aria più dovish nei cortili della Fed potrebbe tirare solo a seguito di un repentino raffreddamento dell’economia americana o di un crollo dell’inflazione, condizioni non così probabili nell’immediato, perciò prepariamoci a massicce dosi di volatilità per i prossimi mesi.
Un mercato che potrebbe avere qualche cartuccia in più in canna potrebbe essere quello cinese. Su di esso ripongono maggior fiducia i principali player di mercato in questi giorni. Quotazioni più a buon mercato, in seguito ai timori vissuti l’anno scorso sulla revisione regolamentare di Pechino che ha coinvolto e stravolto il business di moltissimi settori produttivi cinesi, e inflazione meno galoppante e pericolosa che in occidente, complice anche una Banca Centrale accomodante, sono elementi che suscitano maggiori interessi e lasciano più ottimismo. Ancora una volta ci troviamo di fronte alla necessità di gestire in modo dinamico i nostri asset possibilmente anticipando il più possibile le conseguenze derivanti dai principali fenomeni economici destabilizzanti di questi ultimi anni, come l’inflazione e il graduale dissolvimento della globalizzazione.