AGGIORNAMENTO MERCATI: inflazione tra inganno e realtà
Il nervosismo del mercato sta diventando una costante e i fattori scatenanti ormai si sommano gli uni agli altri. Arriviamo da uno dei peggiori trimestri della storia finanziaria in scia al divampare del fenomeno inflazionistico accentuato da un grave e triste conflitto che ha il suo probabile epicentro nel controllo della fornitura mondiale di materie prime.
Ciò che in questi giorni sta sollevando molte polemiche è la mancata capacità di prevedere da parte delle banche centrali non tanto ovviamente la guerra, piuttosto quello che si è rivelato un violento e profondo cambiamento nella dinamica dei prezzi. Che questi ultimi fossero destinati a salire successivamente l'enorme impulso monetario a sostegno dell'economia mondiale in risposta alla paralisi pandemica era indubbiamente un fattore ragionevolmente stimabile. Ci viene però da pensare che a posteriori sia sempre tutto troppo facile. Non dimentichiamo infatti che arriviamo da più di un decennio di crescita piatta, in particolar modo per le economie sviluppate, dove già in più di un'occasione si era tentato di smuovere i prezzi e la domanda aggregata attraverso politiche monetarie espansive che non avevano ottenuto grandi effetti.
Immaginare per tanto che l'inflazione fosse un fenomeno temporaneo capace di esaurirsi una volta spesi i sussidi e i contributi statali erogati in seguito al blocco dell'economia globale non racchiude in sé un atteggiamento così sprovveduto. Intanto, come già fatto presente in diverse precedenti edizioni del nostro blog ma che ormai risulta inequivocabilmente un dato di fatto, la dinamica attuale inflattiva è mossa per almeno il 70% da cause legate alla scarsità dell'offerta. Su tale aspetto occorre però una riflessione più profonda che facciamo fatica a riscontrare nei media. La crisi della globalizzazione che vede in primo piano il conflitto ormai aperto tra le superpotenze USA e Cina non crea difficoltà soltanto di natura politica e commerciale ma mette le basi per quello che potrebbe diventare un fenomeno inflattivo strutturale per molti prodotti di largo uso. Non ci riferiamo naturalmente alle materie prime che sono beni facilmente più reperibili presso altri Stati (per gli Usa in realtà non è esattamente così…), ma principalmente per semilavorati o prodotti finiti che fino a un quinquennio fa circolavano liberamente privi di ogni forma di dazio, rispondendo a un equilibrio commerciale che seguiva logiche ormai sempre più lontane. Le conseguenze di questo atteggiamento epocale alla lunga si faranno sentire perché della globalizzazione non beneficiano soltanto le multinazionali ma anche le tasche dei consumatori che possono reperire a prezzi minori i beni di consumo.
Se da un lato quindi l’inflazione affonda le sue radici nel dissolvimento della globalizzazione, dall’altro le attuali impennate dei prezzi lasciano presupporre che i livelli attuali siano sicuramente troppo alti rispetto a quelli di più lungo termine ma che difficilmente, passata la bufera della guerra, si ritorni a tassi vicini allo 0.
L’inflazione di equilibrio auspicata dalla Fed si aggirerebbe intorno al 2-2,5%. Più critica invece è la posizione della BCE che deve fare i conti con crescita striminzita e salari ancora al palo.
Le banche centrali perciò in questo momento si trovano davvero in una fase molto delicata schiacciate tra la priorità di domare l'inflazione dopo averla lasciata correre troppo liberamente fuori dalla sua gabbia ed il concreto pericolo di deprimere una flebile crescita ottenuta peraltro con l'abuso del debito.
In questo scenario a dir poco critico non resta che chiederci come possano rispondere i mercati nelle prossime settimane. Quanto è profondo il bear market in cui siamo entrati? Che dati possiamo sfruttare per stimare l’ampiezza della sua discesa?
A nostro avviso in fasi di shock geopolitico affidarsi all’analisi tecnica ha poco senso. Il driver su cui focalizzarci è e sarà ancora una volta il sostegno degli istituti centrali. Finché il peso della bilancia spinge maggiormente sul piatto del contenimento della spirale inflattiva il sentiment non può che essere negativo. Cosa stia prezzando realmente il mercato in questo momento è difficile da dire. Svariate dichiarazioni di blasonate case di investimento parlano di un azionario che sconta già nei prezzi rialzi dei tassi al di sopra del 2%.
C’è però un dato curioso che spinge ad alcune riflessioni. Abbiamo assistito ad un crollo in questi ultimi 4-5 mesi di tutto il comparto obbligazionario come non si vedeva da più di 30 anni. Il collasso del mercato obbligazionario era cosa scontata, questo è vero. I tassi prossimi allo 0 da più di un decennio con rendimenti negativi specie in area europea non potevano che spingere al ribasso i corsi dei bond a seguito del tightening monetario. Ma una contrazione così violenta degli inflation linked bond ci dà un altro tipo di indicazione. Questa categoria di obbligazioni è ancorata all’inflazione attesa e vederla collassare letteralmente ai livelli toccati durante il Covid vuol dire più cha altro che il mercato sta prezzando un’agonia economica all’orizzonte…
E allora cosa sta spingendo ulteriormente al ribasso gli indici? Un allargamento del conflitto? Forse.
O forse, ancor peggio, una contrazione inevitabile della domanda che potrebbe essere l’unica vera e tragica risposta all’inflazione, in grado di riportare ad un raffreddamento totale dell’economia globale. La stagflazione che cede il passo alla “rec-flazione” dove rec sta per recessione… Powell per ora continua a sostenere che l’economia americana è solida, ma anche lui non può vedere i dati del futuro. E quando ci si comincia a fidare poco delle parole di un banchiere centrale, il mercato non può che andare nel panico.
Ora, ammesso e concesso che il mondo non finisca nelle prossime settimane, il panico è l’ultima cosa a cui abbandonarsi. Solitamente è in queste fasi che spuntano opportunità anche per chi è investito naturalmente. Ci sono società che prima della corsa dell’inflazione rappresentavano concrete prospettive di guadagno per gli investitori perché si inserivano in un contesto settoriale promettente.
L’e-commerce, la cybersecurity, il clouding, la robotica, sono un percorso irreversibile premiato oltremisura probabilmente prima dello scoppio dell’inflazione verso la metà del 2021, e che ora vedono un sell-off di dimensione esorbitanti da quasi un anno. Trattasi delle autorevoli vittime della tanto chiacchierata rotazione da growth a value, cioè da quei titoli a largo potenziale di crescita, massivamente individuati come titoli di società eccessivamente indebitate seppur ad elevato potenziale, verso realtà appunto più consolidate e solide, quindi meno suscettibili al rialzo dei tassi.
Settori appartenenti al bersagliato mondo growth in questo momento però a nostro avviso cominciano ad offrire una porta di ingresso interessante. I minimi raggiunti dal biotech (settore iper-rappresentato nel Nasdaq) stanno toccando valori raggiunti durante il lock down del nell’aprile 2020.
La corsa ai titoli di questi settori non era il riflesso di una frenesia incondizionata stile bolla tech del 2000/2001. Qui ci troviamo di fronte a società con bilanci in attivo e buoni flussi di cassa, che salgono alla ribalta di un mercato in trasformazione dove tecnologia e consumi si fondono sempre più indissolubilmente.
La storia è dalla parte dei growth. Il rapporto della redditività tra categoria growth e value è statisticamente quasi sempre stata superiore a 1. Ovviamente i ritracciamenti di questi titoli sono sempre molto violenti, ma l’upside potenziale è significativo soprattutto se i segnali recessivi si concretizzeranno in dati nelle prossime trimestrali obbligando le banche centrali ad agire.
Operativamente parlando le strade da percorrere possono essere due:
- la prima è un percorso di acquisto graduale e di aumento dei pesi azionari a più riprese in modo da costruire una posizione complessiva sui principali mercati (prevalentemente per ora sulle piazze occidentali) attraverso meccanismi automatici di piani di accumulo
- la seconda è raddoppiare la propria esposizione azionaria storicamente detenuta in 2-3 tranche di acquisto da questi livelli fino alla fine del 2022
Come spesso ci è capitato di riscontrare, la volatilità è l’opportunità che si presenta ad alta velocità con esasperazioni nei prezzi che offrono rari punti di ingresso per costruire i rendimenti futuri. La velocità appunto con cui si apre storicamente (specie da quando le banche centrali si sono mostrate dinamiche e tempestive nelle loro azioni) è altrettanto valida in fase di chiusura, perciò il consiglio è essere dentro al mercato con buon senso e pazienza, ma esserci.