AGGIORNAMENTO MERCATI: screenplay del ciclo economico



L’obiettivo di oggi è di raccontare una storia. Una storia alquanto ambiziosa di ciò che accadrà al quadro economico globale nei prossimi mesi, o più probabilmente sarebbe corretto parlare di anni, e quale risposta attenderci dai mercati finanziari.
La scena iniziale del film ha un po’ il sapore dello scenario del “disaster movie”, dove attori più o meno consapevoli di ciò che gli aspetta si aggirano sul set in attesa di un evento destabilizzante dalla portata non del tutto chiara ma indubbiamente negativa. Le indicazioni di una recessione sono piuttosto inequivocabili. È un’ondata che avrà impatti differenti sicuramente a seconda delle aree geografiche da prendere in esame e delle possibili contromisure a disposizione dei Paesi coinvolti. 
Europa e Cina di fatto ci sono già dentro. L’immagine è quella di economie strozzate dagli eventi. 
La prima in balia di uno shock dal lato dell’offerta energetica talmente grande da generare un effetto inflattivo nocivo per consumi privati, utili aziendali e bilanci governativi chiamati a contenerne almeno in parte l’impatto socio-economico. A tal proposito apriamo una piccola parentesi sulle ipotesi avanzate dalla comunità europea allo stop del Nord stream 1 e al crollo delle forniture russe a tempo indeterminato. Mentre la BCE si appresta a innalzare  i tassi di 75 bps, domani l’UE si riunirà per discutere l’ipotesi di applicazione di un price cap su gas e petrolio. Si tratta naturalmente di un intervento estremo. 
Soluzioni ideali a fronteggiare tale situazione è evidente che non esistano. Ridurre il prezzo di gas tout court è a tutti gli effetti una risposta sanzionatoria, che però, come abbiamo avuto modo di notare in passato, le contromisure di Putin non si faranno attendere col risultato finale che le forniture russe tenderanno ad azzerarsi di fatto annullando l’efficacia economica di tali misure. La valenza di tale iniziativa è pertanto più di carattere politico che economico. Lo stop alle forniture russe ci condurrà per l’imminente stagione invernale a razionamenti inevitabili dell’energia e interventi pubblici massicci a sostegno del mondo delle utilities sull’orlo ormai del tracollo finanziario.
L’altro tema di cui si discute e che presenta maggiori spunti di interesse a nostro avviso è quello di slegare il prezzo del gas dal prezzo dell'elettricità, e quindi a tutti gli effetti mettendo un cap al prezzo del gas che viene utilizzato per la produzione di elettricità, e ancora scollando sostanzialmente il prezzo marginale dell’elettricità da quella prodotta attraverso il gas a quella prodotta attraverso le altre fonti di energia i cui costi non sono saliti. Queste due misure a nostro avviso sono potenzialmente più efficaci, ovviamente hanno un costo anch’esse per il bilancio dello Stato ma potrebbero effettivamente contribuire a ridurre anche in modo significativo il prezzo del gas e soprattutto agevolare in particolar modo quei cittadini  che hanno sostenuto costi per allinearsi alle iniziative di consumo energetico a minor impatto ambientale (leggasi teleriscaldamento e orientamenti vari verso consumi di natura elettrica…).
In sintesi alla contrazione dell’offerta segue quella della domanda per minori risorse a disposizione dei privati, connessa ad una produttività anch’essa in sofferenza. Il quadro macro quindi è inevitabilmente recessivo.
Lo tsunami ha già coinvolto come dicevamo anche l’area cinese. Qui i policymakers ci hanno messo del loro senza ombra di dubbio. Se da un lato gli shock dal lato dell’offerta di materie prime hanno impattato decisamente meno nonostante la Cina sia da anni il più grande importatore di combustibili fossili, dall’altro la gestione a senso unico della pandemia, che ha portato a singhiozzanti e continui lock-down di intere aree produttive del Paese, hanno generato effetti interni devastanti per la crescita. 
Abbiamo detto più volte che si stanno stravolgendo gli equilibri produttivi degli ultimi due decenni al punto tale che sarà inevitabile assistere ad una trasformazione radicale dell’economia del Dragone. 
Al ventesimo Congresso che si terrà il 16 ottobre Xi Jinping sarà chiamato a rafforzare la sua leadership e delineare i futuri punti cardini per stimolare una crescita in caduta libera. Viste le premesse sull’inflessibilità alla diffusione dei contagi e la scarsa attitudine a generare stimoli fiscali e monetari, immaginare segnali confortanti nel breve da quella fetta di mondo è forse ancora prematuro.
In sintesi la dissolvenza della globalizzazione ormai ci spinge a ragionare su nuovi inquilini tra le variabili macroeconomiche future, uno su tutti l’inflazione.
L’impatto recessivo toccherà probabilmente la madre di tutte le economie. Gli USA, infatti, sebbene protetti da una solida, e quantomai importante di questi tempi, indipendenza energetica, col debito che si ritrovano non possono che andare incontro a politiche monetarie restrittive a qualunque costo. Effetti incontrollati di un’inflazione galoppante recitano spesso epiloghi molto più dannosi per i bilanci pubblici e privati. Restano da capire i tempi che ci vorranno per raffreddare la domanda e magari individuare qualche crepa sul mercato del lavoro. Solo a quel punto lo scenario può avere una svolta e i policymaker avere le mani libere per una giustificata iniezione di liquidità o di stimolo espansivo. Ma prima c’è da soffrire, così ci dice la storia della lotta all’inflazione, così sarà anche questa volta con qualche tensione geo politica in più ad esacerbare la situazione. 
Il disaster movie, quindi, prevede una fase descrittiva dell’agonia dei mercati che preannuncia una seconda temibile ondata di “passione”. Prima di vedere la luce ci sono nuovi motivi di tensione in particolar modo per l’azionario globale. 
Se il sell off di inizio anno, infatti, è stato guidato da una compressione dei multipli generata da un’impennata dell’inflazione e da una politica hawkish delle banche centrali, ora un rallentamento del ciclo economico pone più di un interrogativo sulla tenuta degli utili societari.  Se infatti guardiamo gli indicatori anticipatori del ciclo economico, come ad esempio il Purchasing Managers’ Index, questi hanno cominciato a indebolirsi non solo nell’ambito del settore manifatturiero che mostra segnali di cedimento da alcuni mesi, ma anche più di recente in quello dei servizi. 
Questo dato unitamente alla (seppur lenta) decelerazione inflazionistica degli ultimi 2 mesi ci proietta verso l’ingresso alla fase di rallentamento del ciclo economico che impatterà necessariamente sulle prossime trimestrali anche nel mercato a stelle e strisce.
Non essendo pensabile un cambio di tendenza da parte della Fed nel breve, o quantomeno non prima di essersi assicurata di aver rinchiuso per bene in gabbia la belva dell’inflazione, il mercato statunitense dovrà “rispondere” a utili, consumi, e mercato del credito meno attraenti. Scenario strutturalmente orientato alla “sofferenza”.
Provando a sbilanciarsi un po’ si può azzardare ad immaginare un mercato finanziario che decelera ancora ma probabilmente ad una velocità minore e con un orientamento verso la stabilizzazione dei prezzi. 
Ovvio che tutte queste considerazioni hanno valore in condizioni di “normalità” e assenza di ulteriori shock geopolitici che aggiungerebbero in tal caso nuove variabili esogene da contemplare, in negativo (allargamento del conflitto o esplosione di nuovi conflitti – Taiwan…) o magari in positivo perché no… (Putin si risveglia un mattino con la vocazione del padre missionario)
A questo punto la trama subirebbe una metamorfosi radicale e al contempo troppo imprevedibile…
Il film che vogliamo terminare di raccontarvi è quello di un’analisi di un ciclo economico che compie il suo viaggio dovendo affrontare ostacoli inevitabili e solo quando avrà patito e ne porterà segni evidenti troverà la mano tesa dei soliti supereroi pronti a restituire speranza e a dar vita al nuovo ciclo nascente: le banche centrali, gli Avenger della Finanza!



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