AGGIORNAMENTO MERCATI: stress dei mercati, fino a dove e a quando?
Sebbene il tasso di inflazione head line sia calato per il terzo mese consecutivo, attestandosi all'8,2% annuo (la lettura più bassa in sette mesi) rispetto all'8,3% di agosto, il dato sulla crescita dei prezzi statunitense ci dice ancora una volta che l’economia a stelle e strisce è in salute e non accenna a “raffreddarsi”. Quest’ultima rivelazione non ha fatto altro che produrre ulteriori tensioni alla situazione in essere. Tensioni che però ci cominciano a spiegare come i mercati finanziari stiano andando in confusione. Per la prima volta, infatti, all’ennesima doccia fredda di un’inflazione che non accenna a ridimensionarsi non è seguito un crollo dei listini. O meglio, all’uscita del dato la reazione è stata coerente con il passato dirigendo gli indici ad un’immediata discesa, con un S&P500 che sfondava quota 3500 e il Nasdaq ancor più in rosso che scendeva sotto i 10100.
I quotidiani si sono scervellati per dare un senso ancora una volta ad una reazione così inaspettata e apparentemente folle del mercato, che nell’arco di un paio d’ore ha esploso ben 5 punti di volatilità al rialzo, passando da un -2,5% ad un + 2,5% in chiusura di giornata.
Il guess why del giorno dopo sul movimento inaspettato ha spinto la stampa a scrivere un po’ di tutto…
C’è chi sostiene che il mercato sia in attesa di trimestrali non così drammatiche, chi vedeva tirato eccessivamente dal punto di vista prevalentemente tecnico i grafici dopo ben 6 settimane consecutive di ribassi, chi ancora imputa lo spike alle strategie dei trader che, appollaiati intorno ai fatidici 3500, hanno fatto scattare acquisti automatici a catena scatenando il rally.
Chi lo sa. E probabilmente poco importa.
Intanto perché il giorno dopo il mercato si è ricordato che il momento è difficile, ancora pieno di insidie e che soprattutto con un’inflazione così c’è poco da scherzare. E così gli USA hanno chiuso in profondo rosso anche venerdì scorso.
A questo punto sulla base anche delle stime di crescita riviste dal fondo monetario internazionale per il biennio 2022 2023 che vedono una riduzione globale della crescita e collocano le stime per gli Stati Uniti all'1,6% nel 2022 e all'1,0% nel 2023, occorre fare alcune considerazioni.
Intanto, sebbene l'economia statunitense sia proiettata verso un probabile e forte rallentamento, al momento l’ipotesi di recessione negli Stati Uniti sembrerebbe non doversi realizzare nel breve periodo. Cosa ben diversa invece per l'Europa e la Cina. Tuttavia l'andamento degli indicatori anticipatori del ciclo economico a cura dell'Institute for Supply Management (ISM) hanno cominciato a fornire segnali a favore di un rallentamento più evidente soprattutto per le attività manifatturiere. Nuovi ordini e occupazione cominciano a contrarsi; lo stesso vale per il settore immobiliare che chiaramente inizia a scontare il vertiginoso aumento dei costi per mutui e finanziamenti. Ciò che rimane in territorio espansivo e invece il comparto dei servizi che mostra ancora oggi una certa euforia sia in termini economici sia occupazionali.
Uno degli elementi che maggiormente preoccupano Fed e i mercati ovviamente è che paradossalmente l’eccessiva salute del mercato del lavoro condizioni fortemente quei settori (come i servizi e consumers staples) che risultano più resilienti alle recessioni, specialmente se tutti hanno un reddito e questo reddito viene abbastanza regolarmente “adeguato” all’inflazione. Quello che si punta a registrare per andare a minare alle radici la crescita dei prezzi saranno i numeri dell’occupazione USA in maggior contrazione di quella attuale. In particolare il numero di nuovi occupati almeno sotto le 100.000 unità, attualmente si attesta intorno alle 250.000…
Inoltre sono anni che l’America pianifica una politica economica di autonomia energetica e ritorno alla produzione domestica. Repubblicani ma anche gli stessi democratici sono stati promotori di questo rafforzamento dell’economia interna e la sensazione che ne deriva è la fatica immane da parte della Fed nel rendere efficaci le proprie politiche monetarie restrittive.
Attenzione quindi alla solidità dell’economia americana e al potenziale scivolone a cui può andare incontro il Governo se dovesse varare politiche fiscali espansive in antitesi con gli sforzi di raffreddamento economico promossi da Powel (replicando per esempio gli errori dell’ex ministro britannico Kwarteng).
Proviamo a fare un’altra considerazione utile alla comprensione dei punti di svolta delle politiche monetarie restrittive.
Tali politiche intanto intervengono sempre per scongiurare fenomeni inflattivi troppo pericolosi per essere lasciati circolare liberamente e si interrompono non tanto di fronte a dati macro in contrazione quanto successivamente a stress di natura finanziaria. L’economia si porta su un terreno, insomma, che conduce ad una deriva finanziaria tale da imporre un intervento monetario stabilizzatore (del resto il campo di azione degli istituti centrali è e dovrebbe essere circoscritto a quello monetario).
Quello che un po’ salta all’occhio nelle ultime settimane è che il mercato ha fame anche solo di piccoli segnali “positivi” per così dire: l’abbiamo visto brindare pochi giorni fa per un rialzo più contenuto dei tassi in Australia o accogliere speranzoso ogni economic bad news come un inizio della fine dell’inasprimento monetario. Questa disperata ricerca di fiducia va però inserita in un quadro sostanzialmente non idoneo a far correre i mercati. E gli operatori lo sanno, tant’è che i rimbalzi hanno vita sempre brevissima.
Ora, alla luce di quanto detto sin qui, quali considerazioni possiamo fare per provare a comprendere fino a dove è destinato a scendere il mercato e fino a quando?
Intanto gli occhi vanno puntati in una direzione sola. L’economia statunitense e il livello della sua crescita nei prezzi in primo luogo.
È importante però avere chiaro che la Fed non si aspetta solo i dati dell’inflazione bassi mese su mese (quella core naturalmente) per valutare un cambio di politica monetaria, ma deve intanto domarla totalmente e, come accennavamo prima, “soccorrere” il sistema finanziario là dove si palesino evidenti rischi di liquidità e tenuta del canale bancario.
Se da un lato quindi la strada è lunga prima di intravedere un’inversione di marcia dall’altro non è detto che il mercato sia destinato a sprofondare continuamente. In attesa di una ormai certa contrazione economica globale a vedere nero sono praticamente tutti gli operatori. Il mercato ad oggi non sconta una recessione ma probabilmente più un rallentamento e, vista la forza strutturale dell’economia americana potrebbe anche non essere così scontato il verificarsi di una vera e propria recessione in USA, ma solo di un rallentamento dei prezzi al consumo in scia ad una diminuzione dei prezzi delle materie e ad una ripresa più fluida dei commerci internazionali…
Dobbiamo però concludere facendo un po’ di ordine mentale che in queste occasioni in cui molta emotività prende il sopravvento sulle nostre decisioni non può che essere utile.
Le considerazioni che leggiamo e che filtrano tra le principali testate di informazione finanziaria si riferiscono spesso al cosiddetto futuro immediato. Le news non sono mai relative ad una forma di pianificazione finanziaria che invece deve essere alla base delle nostre scelte quando effettuiamo un investimento (di qualsiasi natura oltreché finanziaria). Vanno perciò interpretate e usate con fini più tattici che strategici. Perciò il peso che dobbiamo attribuire loro deve essere ponderato in tal senso e non condurci a rinnegare quello che per noi è stata una scelta passata basata su fondamentali solidi e prospettici. Una scelta di investimento non ha il suo driver in un evento/shock geopolitico che non può essere prevedibile (semmai questa è speculazione), ma nell’individuazione di un trend di crescita che generi opportunità convincenti.
Chi oggi ha la fortuna di disporre di liquidità ha davanti una grande opportunità che non si vedeva da decenni. Le costruzioni di un asset investito oggi dove il premio al rischio sui bond è finalmente appetibile e i multipli sull’equity cominciano a viaggiare sotto la media storica degli ultimi 30 anni sono presupposto fondamentale per ottenere elevate probabilità di rendimenti positivi e importanti per il prossimo cinquennio.