AGGIORNAMENTO MERCATI: il ritorno dei Bond


Quello che non immaginavamo con tanta facilità è in corso. Il mondo delle obbligazioni torna ad esprimere valore in scia ad aumento dei tassi ed inflazione.
Se come si sta stimando attualmente presso i principali asset management internazionali ci troviamo molto prossimi al picco massimo dell’inflazione, è lecito pensare che il mercato possa aver già prezzato al massimo la discesa dei corsi obbligazionari e che sia altresì lecito riempirsi le tasche di bond assicurandoci un rendimento certo per i prossimi anni.
Su questo aspetto concordano quasi tutte le case di investimento, ancora troppo restie a comprare rischio azionario sui portafogli, confidenti invece in una progressiva decelerazione dell'inflazione ed una conseguente minor propensione all'innalzamento dei tassi da parte delle banche centrali.
Apriamo a questo punto una parentesi macroeconomica a supporto di tale atteggiamento. Solitamente l'ingresso in una fase di bull market ha spesso coinciso storicamente col verificarsi di due fattori, uno di natura economica e l'altro monetaria. 
Il primo fattore può essere tradotto come un grave deterioramento delle principali variabili economiche spesso utilizzate per misurare solidità e salute di un'economia; quali crescita, produttività e occupazione.
Il secondo fattore coincide con le manovre politica monetaria tipicamente espansive delle banche centrali; quali il taglio dei tassi e interventi di varia natura finalizzati ad aumentare la liquidità in circolazione sui mercati.
Se da un lato quindi le recenti parole di Powell sulla decelerazione dei prezzi possono infondere una certa fiducia ai mercati, dall’altro ci troviamo in un tratto del ciclo economico che ancora non ha riscontrato nei dati macro i segni della contrazione vera e propria. Anzi, i dati su occupazione e settore dei servizi hanno confermato una certa resilienza alla crisi. Il settore dei servizi è tipicamente l’ultimo a “cadere”. Immobili e beni durevoli, come è naturale che sia, sono i primi a patire quando finanziarsi diventa più oneroso, ma la capitolazione dei consumi cosiddetti incomprimibili è fenomeno terminale di un lento processo recessivo. 
Quanto lentamente possa manifestarsi questo è ancora difficile a dirsi. C’è chi sostiene che il 2023 a questo livello di tassi farà precipitare in recessione l’economia statunitense e naturalmente anche quella europea che avrà un segno meno nella crescita già entro il secondo trimestre. Altri invece ipotizzano che gli Usa riusciranno a superare il 2023 con una lieve contrazione degli utili attraverso un soft lending che porterà ad una stabilizzazione dei tassi e della crescita per il 2024 intorno al 2,5-3%.
In entrambi gli scenari è evidente che i dati sugli utili societari non hanno una strada in discesa davanti a loro e puntare quindi su un asset pieno di incertezze mette tutti d’accordo su un atteggiamento prudente ed attendista nell’incrementare azionario sui portafogli. Se poi il mondo obbligazionario torna a generare rendimenti è del tutto verosimile che i flussi si concentrino maggiormente su questa asset class.
Tutto vero; esiste ancora una variabile però con cui fare i conti e si chiama rischio emittente per i mesi che seguiranno
A puntare il dito sulla crescente esplosione di deterioramento del merito creditizio è proprio il principale istituto mondiale di Rating, S&P Global Rating, che una settimana fa aveva messo in guardia sulle tensioni nella solvibilità di corporate e governativi proveniente da tutto il globo.
Aldilà della dietrologia e delle colpe dei vari istituti di rating americani responsabili di non aver fatto il loro dovere all’alba del più grande crack bancario della recente storia finanziaria nel 2008, oggi la loro denuncia week on week è un crescendo di downgrade, outlook negativi.
L’abuso infatti di debito a basso costo degli ultimi 10-12 anni da parte di molti istituti rischia di esplodere nelle mani in un baleno laddove tassi in crescita e recessione erodono i bilanci. 
L’ultimo loro report denuncia l’impennata del valore dei CDS (credit default swap), ossia la quotazione della probabilità di default di un emittente, che ha superato la media degli ultimi 5 anni.
Questo percorso in uno scenario ciclico negativo con rallentamento inflattivo eccessivamente graduale si traduce “tatticamente” in terreno tortuoso per i tassi che non potranno essere ritoccati al ribasso ma semmai mantenuti ai livelli attuali o leggermente sopra rispetto al presente (parlo naturalmente delle economie occidentali). La conseguenza è il mantenimento di un costo del credito importante per chi ne fa largo uso e questo ci deve portare ad immaginare un tasso di default crescente sulla componente High Yield dell’universo obbligazionario. Su quest’asset vale a nostro avviso un approccio di “accumulo” un po’ come più volte abbiamo consigliato di entrare sull’equity specie quello tech. Ulteriore difficoltà presentano quegli emittenti emergenti che spesso contraggono debito in dollaro, lavorando con valute locali. La forza relativa del dollaro di certo di questi tempi non aiuta queste realtà.
Perciò l’acquisto incondizionato e indistinto di bond è altamente sconsigliato per quanto attraente in termini di premio come mai negli ultimi 20 anni.


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