AGGIORNAMENTO MERCATI: paura di recessione dissolta?
A guardare come si comportano gli indici da inizio anno verrebbe da dire di sì.Una spesa privata ancora robusta, occupazione ai massimi storici, dati sugli utili delle principali multinazionali tutto sommato discreti o quantomeno migliori del previsto, portano a credere di aver come spesso accade esagerato con le previsioni pessimistiche. Quando si gira il sentiment di mercato le voragini tendono spesso ad essere tanto profonde quanto eccessivamente rapide, rispondendo più a logiche “emotive”, oltreché “robotiche” (più del 70% degli ordini sono inseriti ormai da macchine), piuttosto che razionali.
Può essere. Così come può essere che l’economia per il prossimo decennio debba convivere con livelli di inflazione più elevati rispetto a quello precedente, riportando in auge asset class prive di interesse per lungo tempo. Un premio al rischio quello obbligazionario a lungo rimasto sotto la polvere, così come i settori bancario e delle utilities nell’universo azionario tornati a generare utili.
Quello che è certo dal movimento di questi ultimi mesi è che alzare i tassi non ha avuto effetti immediati sulla crescita dei prezzi. Immaginarsi però che potesse verificarsi uno scenario simile a velocità inaudita è oggettivamente irrealistico.
Analizziamo i fattori che in questo momento remano contro un’immediata bufera recessiva sospinta dai venti hawkish delle Banche Centrali.
Intanto il primo ce lo dice la storia. Da una recente indagine di Merryl Linch il tempo necessario, infatti, perché l’inflazione torni al 2% dopo aver superato il 5% si aggira intorno ai 10 anni! Prendiamolo naturalmente come un dato storico, ma anche come una raccomandazione a riconoscere nell’inflazione un fenomeno fisiologicamente non passeggero.
Altro fattore non trascurabile è il sostegno che l’economia ha ricevuto post pandemia. La scia di politiche fiscali pro-cicliche tende a neutralizzare gli effetti “restrittivi” del canale monetario.
C’è anche il tema della riapertura della Cina che potrebbe contribuire ad un innalzamento della domanda di materie prime e quindi sospingere al rialzo la componente “energetica” dell’inflazione.
Consumi e occupazione perciò al momento non se la passano così male. Da qui l’ipotesi di recessione alle porte potrebbe essere effettivamente scongiurata. C’è però chi scommette anche sulla probabilità di non incappare in futuro in alcuna forma di recessione economica. E la resilienza dei mercati alle dichiarazioni di ulteriori aumenti dei tassi a fronte di una coriacea inflazione da parte dei banchieri centrali ne potrebbe rappresentare una conferma.
Premettendo che il futuro dei mercati è condizionato anche da fattori esogeni, come shock geopolitici o ambientali che ne possono deviare il corso improvvisamente, in un ipotetico scenario “lineare” temo che un periodo di crisi economica sia abbastanza destinato a verificarsi nei prossimi anni.
Come già sostenuto in altre occasioni, livelli di debito così elevati a tassi superiori al 5% per diverse economie rappresentano un problema. Senza contare che il canale del credito, sempre più fondamentale per i consumi del mondo occidentale, a tali condizioni, alla lunga porterà ad una contrazione della domanda.
Già lo si sta notando nel settore immobiliare americano.
Se vogliamo fare gli accademici, non è da trascurare nemmeno l’inversione della curva dei tassi, che oggi è sempre più pronunciata e, da sempre, rappresenta un importante segno premonitore di una recessione. Anche qui non prevista per domani ma nei 18-24 mesi successivi. E comunque l’epoca in cui tale crisi tende a manifestarsi dipende di volta in volta dagli elementi che contribuiscono a rallentarne lo scoppio, che, come abbiamo visto, non mancano.
Cosa avverrà ai mercati?
Questa è ancora un’altra storia anche se ovviamente largamente interconnessa allo scenario macroeconomico di fondo.
Alcuni patiranno probabilmente di più, e per una volta potrebbe toccare a quello americano, più tecnologico, più caro, più indebitato e soprattutto più avanti nelle politiche monetarie restrittive…
L’Europa che in media è a un 25% più a sconto rispetto all’equity statunitense potrebbe rivelarsi più resiliente sulle Borse di fronte ad uno scenario recessivo.
Appetibilità superiore dell’Area Euro rispetto agli USA anche per quanto riguarda i bond. Così come cominciano a diventare interessanti i bond Paesi Emergenti su ipotesi di indebolimento del dollaro e politiche monetarie mediamente più accomodanti in prospettiva.
Può essere. Così come può essere che l’economia per il prossimo decennio debba convivere con livelli di inflazione più elevati rispetto a quello precedente, riportando in auge asset class prive di interesse per lungo tempo. Un premio al rischio quello obbligazionario a lungo rimasto sotto la polvere, così come i settori bancario e delle utilities nell’universo azionario tornati a generare utili.
Quello che è certo dal movimento di questi ultimi mesi è che alzare i tassi non ha avuto effetti immediati sulla crescita dei prezzi. Immaginarsi però che potesse verificarsi uno scenario simile a velocità inaudita è oggettivamente irrealistico.
Analizziamo i fattori che in questo momento remano contro un’immediata bufera recessiva sospinta dai venti hawkish delle Banche Centrali.
Intanto il primo ce lo dice la storia. Da una recente indagine di Merryl Linch il tempo necessario, infatti, perché l’inflazione torni al 2% dopo aver superato il 5% si aggira intorno ai 10 anni! Prendiamolo naturalmente come un dato storico, ma anche come una raccomandazione a riconoscere nell’inflazione un fenomeno fisiologicamente non passeggero.
Altro fattore non trascurabile è il sostegno che l’economia ha ricevuto post pandemia. La scia di politiche fiscali pro-cicliche tende a neutralizzare gli effetti “restrittivi” del canale monetario.
C’è anche il tema della riapertura della Cina che potrebbe contribuire ad un innalzamento della domanda di materie prime e quindi sospingere al rialzo la componente “energetica” dell’inflazione.
Consumi e occupazione perciò al momento non se la passano così male. Da qui l’ipotesi di recessione alle porte potrebbe essere effettivamente scongiurata. C’è però chi scommette anche sulla probabilità di non incappare in futuro in alcuna forma di recessione economica. E la resilienza dei mercati alle dichiarazioni di ulteriori aumenti dei tassi a fronte di una coriacea inflazione da parte dei banchieri centrali ne potrebbe rappresentare una conferma.
Premettendo che il futuro dei mercati è condizionato anche da fattori esogeni, come shock geopolitici o ambientali che ne possono deviare il corso improvvisamente, in un ipotetico scenario “lineare” temo che un periodo di crisi economica sia abbastanza destinato a verificarsi nei prossimi anni.
Come già sostenuto in altre occasioni, livelli di debito così elevati a tassi superiori al 5% per diverse economie rappresentano un problema. Senza contare che il canale del credito, sempre più fondamentale per i consumi del mondo occidentale, a tali condizioni, alla lunga porterà ad una contrazione della domanda.
Già lo si sta notando nel settore immobiliare americano.
Se vogliamo fare gli accademici, non è da trascurare nemmeno l’inversione della curva dei tassi, che oggi è sempre più pronunciata e, da sempre, rappresenta un importante segno premonitore di una recessione. Anche qui non prevista per domani ma nei 18-24 mesi successivi. E comunque l’epoca in cui tale crisi tende a manifestarsi dipende di volta in volta dagli elementi che contribuiscono a rallentarne lo scoppio, che, come abbiamo visto, non mancano.
Cosa avverrà ai mercati?
Questa è ancora un’altra storia anche se ovviamente largamente interconnessa allo scenario macroeconomico di fondo.
Alcuni patiranno probabilmente di più, e per una volta potrebbe toccare a quello americano, più tecnologico, più caro, più indebitato e soprattutto più avanti nelle politiche monetarie restrittive…
L’Europa che in media è a un 25% più a sconto rispetto all’equity statunitense potrebbe rivelarsi più resiliente sulle Borse di fronte ad uno scenario recessivo.
Appetibilità superiore dell’Area Euro rispetto agli USA anche per quanto riguarda i bond. Così come cominciano a diventare interessanti i bond Paesi Emergenti su ipotesi di indebolimento del dollaro e politiche monetarie mediamente più accomodanti in prospettiva.