AGGIORNAMENTO MERCATI: BTP, or not BTP, that is the question
Portafogli sotto pressione, rendimenti in rialzo quasi esponenziale. Un investitore retail ha più volte creduto quest’anno di fare l’affare della vita comprando obbligazioni e puntualmente l’asta successiva si trovava nuove emissioni a tassi superiori. Ci soffermeremo oggi sull’analizzare il fenomeno dell’overbooking delle aste BTP aggiungendo qualche considerazione sulle prospettive del mondo obbligazionario.
L’ultima di queste, per esempio, ha registrato un successo sensazionale: più di 17 miliardi sottoscritti di cui quasi il 70% con tagli inferiori ai 20.000€
Se da un lato è confortante che i risparmi degli italiani contribuiscano a sostenere il proprio Paese (anche se solitamente criticato dagli stessi nella sua gestione...) dall’altro notare come questo fenomeno sia sinonimo di scarsa istruzione in materia finanziaria o in altre parole di attenzione a come impegnare i propri risparmi, onestamente un po’ demoralizza.
Senza fraintendimento, ben vengano un po’ di titoli di Stato in portafoglio, ma stiamo notando una sorta di all-in da parte di non pochi risparmiatori, pronti addirittura a vendere altri asset in perdita per “recuperare” con la rendita certa di un Bond di Stato. Tanta pubblicità e tassi elevati surclassano ogni altro tipo di considerazione. Domande del tipo: “Caro investitore, finanzieresti mai una società con 3.000 miliardi di debiti, fatturato con margini di crescita annuo tra lo 0 e il 3% e disavanzo costante e cronico ormai da decenni? Oppure: “Fatto 100 la tua liquidità, perché decidere di concentrarne più della metà su una singola soluzione di investimento se esistono alternative che beneficiano del medesimo se non più alto rendimento?
Alla fine è un po’ sempre il solito discorso. Sapendo che ad una determinata scadenza riprendo il mio capitale e incasso annualmente un interesse poco importa come si muova il titolo sottostante o qualsiasi riflessione in merito alla solvibilità dello stesso. Dopo tutto il buon vecchio titolo di Stato a scadenza ci è sempre arrivato, sebbene talvolta con qualche preoccupazione di troppo.
Vicende non troppo lontane nel tempo però ci riportano alla mente richieste di trasferimento su rapporti bancari elvetici al cambiare del vento. E quando il vento fa impennare lo spread o si infila nelle crepe di una UE mai troppo cementata il tormentone diventa se tenere o liquidare gli asset governativi perché “dottore, sa, forse ne abbiamo troppi…”
Storie già viste, storie che si ripeteranno, soprattutto se sai che le manovre pubbliche adottate per rilanciare il Paese e finanziate con nuovo debito sono discutibili e non contribuiranno ad aumentare PIL e crescita in modo duraturo (bonus 110% - bonus edilizi - flat tax…).
La riflessione a tal proposito è che forse molti non sanno o mostrano un’istintiva diffidenza a scegliere alternative in grado di dare rendimenti in linea se non superiori investendo su più emittenti magari addirittura con rating superiori.
Oggi l’euribor a 12 mesi è pari al 4.20%, il che significa società o banche oggi emettono obbligazioni superiori al 4.5% su base annua. Comprare oggi un fondo ben gestito con all’interno centinaia di emissioni, a fronte di una commissione mediamente inferiore all’1% significa acquistare un paniere ultradiversificato di titoli che pagano cedole superiori al 5%.
Lo Yield to maturity (ovvero il rendimento a scadenza su base annua) di un fondo obbligazionario corporate investment grade (cioè composto da quelle società che presentano un livello di solvibilità superiore alla BBB, e quindi anche del nostro Paese!) oggi si aggira tra il 5.5% e il 6.5%. Se poi ci addentriamo su emittenti cosiddetti high yield o compriamo qualche obbligazione di Paesi emergenti ovviamente alziamo ulteriormente il rendimento (anche sommando i costi di copertura dal cambio).
Su soluzioni di questo tipo possiamo dire addio al rischio default cui si va in contro quando si sceglie un unico emittente. E questa è una vecchia regola che però non deve mai passare di moda.
Non dimentichiamoci che livelli di tasso così elevati portano con sé sempre delle sorprese. La sostenibilità del debito (specie se elevato come il nostro) sarà il prossimo tema a tenere banco in Europa nei prossimi anni. L’UE non essendo una confederazione di Stati, ma un insieme di Paesi con regole e parametri da rispettare, riporterà alla luce vecchie questioni che potremmo riassumere sotto il nome di “austerity”.
L’anno si avvicina al termine con un ulteriore strappo dei rendimenti dei bond, al punto tale che è lecito chiedersi quale possa essere il capolinea dell’ascesa dei tassi.
La sensazione è che ci siamo, per due motivi soprattutto.
Il primo è che i tassi ipotecari sono alle stelle.
Negli USA il tasso fisso trentennale è pari al 7.7% il più alto dal 2000, portando la domanda per la richiesta di mutui ai minimi dal 1995. Il dato sulla fiducia dei costruttori americani (indice NAHB) è letteralmente in caduta libera. Il settore immobiliare non dimentichiamoci che rappresenta, assieme al suo indotto, quasi un 20% del PIL USA, ma un po’ ovunque rimane la voce più “pesante” nella misura di produttività e crescita di un’economia.
Per non parlare del mondo high yield sempre americano che vede nei settori energetico e finanziario due anelli storicamente deboli, inclini a default o ristrutturazioni del debito quando i rialzi repentini dei tassi premono sui loro bilanci
Il secondo è dato da un numero, ed è il 5.
Il 5 è ciò che rende appunto un decennale USA (ma anche un BTP)
Arrivati al 5% gli investitori sono disposti ad accumulare, abbandonando il rischio di "impresa" per riversarsi su un rendimento certo. Insomma, è un valore psicologicamente allettante al punto da far scattare tutta una serie di meccanismi di “carico-scarico” tra bond ed equity che condurrebbero ad un ulteriore aumento delle turbolenze di mercato e ad una crisi di fiducia degli investitori.
Mantenersi al di sopra di questa soglia psicologica diciamo che “non promette nulla di buono”.
La sintesi del discorso, quindi, è posizionarsi su quella che parrebbe essere una delle occasioni più allettanti degli ultimi 20 anni per chi dispone di risparmi, ancorandosi a rendimenti di raro spessore, ma avendo l’accortezza di farlo valutando le possibili conseguenze e stando lontano da eccessive concentrazioni su singoli emittenti o asset class particolarmente “critiche”.