AGGIORNAMENTO MERCATI: L’inflazione, l’occupazione e… le aste


Si è registrato nelle ultime settimane un ritorno al buon umore sui mercati. E questo fondamentalmente per il diffondersi graduale di ottimismo su politiche monetarie più clementi in vista del prossimo anno.
Torna il tormentone della “Bad news is a good news”. Sono sempre infatti inflazione e occupazione a dominare la scena tra le macrovariabili in grado di far cambiar rotta agli istituti centrali. La loro contrazione, seppur non marcatissima, sta spargendo la convinzione tra gli operatori che i tagli sui tassi si presenteranno già nel 2024 sia in Europa sia in USA assieme alla più volte evocata, ma mai avverata, recessione.
Se questo è il quadro che si sta manifestando negli ultimi giorni, non siamo del tutto certi che il mercato dimentichi così in fretta le ragioni dell’impennata dei rendimenti sulle lunghe scadenze verificatisi meno di un mese fa.
Attenzione, infatti, ad essere troppo ottimisti. Il movimento fatto dal mercato obbligazionario nel mese di novembre è stato importante. Si è passati da un 5% sul decennale americano al 4.4%, ma nel 2024 il mercato si attende emissioni di treasuries per 1,34 trillioni di USD e a questo si dovranno aggiungere ancora più di 0.5 trillioni di dollari per pareggiare i 1.8 trillioni di deficit atteso per il prossimo anno. 
Siccome, quindi, le emissioni aumenteranno e Powell difficilmente allungherà la mano al mercato nel 2024 non sarà così inverosimile vedere rendimenti in rialzo sulle lunghe scadenze dei bond governativi USA.
Di come sia delicato il tema ce lo conferma l’atteggiamento tenuto durante l’ultimo intervento della Fed del 2 novembre. Yellen e Powell provano a portare a casa ognuno la propria mission senza penalizzarsi troppo a vicenda. La prima ha un innalzamento del debito vertiginoso da rinnovare a costi sempre più proibitivi e il secondo non può tagliare il costo del denaro se non di fronte a forti segnali recessivi.
Quel che è successo di fatto è stato un tentativo da parte di entrambi di non pestarsi troppo i piedi. La Yellen da un lato punta ad emettere il più possibile debito a breve, Powell a tener fede al proprio mandato non toccando ancora i tassi (quelli a breve ovviamente), continuando così la sua lunga battaglia all’inflazione, avversario quantomai tenace e ostinato.
Il punto è che lo spazio di manovra è ridotto. La Yellen si vorrebbe presentare alle aste emettendo a tassi non superiori al 4.5% ma in tutta onestà, vista la carta da collocare sul mercato, molti operatori si aspettano delle correzioni al rialzo su decennali e trentennali. Ce lo dicono Franklin Templeton, K2 Asset Man. Blackrock e diversi altri gestori obbligazionari dei quali abbiamo seguito testimonianze e interventi sul tema.
Questo fenomeno potrebbe rappresentare un catalist sulle pressioni di mercato del 2024. Come abbiamo già avuto modo di notare, rendimenti che scappano via su emissioni a lungo generano pressioni mal digeribili anche sugli indici azionari. Quando il costo dell’indebitamento long-term comincia a superare il famigerato 5% la volatilità si scuote.
Sull’Europa forse sarà un fenomeno meno marcato, il debito comunque comincia a bussare alla porta dei Governi, i rinnovi saranno un tema e le Banche Centrali non potranno restare a guardare a lungo. 
Ieri Berlino ha prorogato la sospensione del limite costituzionale all’indebitamento netto, tema così sentito dal Paese da ricoprire uno spazio all’interno della Costituzione. Deroghe al rispetto di questa norma sono previste solo in casi eccezionali, come pandemie o disastri naturali… onda lunga del Covid o della crisi energetica… o l’ombra minacciosa di un debito che si fatica a far rientrare? Gli effetti sui prezzi si sono fatti sentire e il rendimento del Bund a 10 anni si è spinto al 2.66%. 
Tradotto in parole povere, forse non è ancora ora di riempirsi di scadenze lunghe.

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