AGGIORNAMENTO MERCATI: inflazione dove vai?



È la domanda che ci facciamo in tanti. 
Intanto perché il suo futuro e le sue previsioni sono così importanti per le scelte di investimento?
La risposta per gli addetti ai lavori è scontata ma proviamo a renderla di facile comprensione per tutti.
L’inflazione, che ci indica la variazione di crescita dei prezzi, è un dato che “muove” le scelte in primo luogo, delle Banche Centrali, che, avendo il compito di stabilizzare proprio i prezzi e l’equilibrio del sistema economico, in base al suo andamento fissano i tassi di interesse di riferimento per crediti e tutto il mondo obbligazionario. Capiamo quindi che se la tendenza dei tassi è al rialzo, come si è verificato in modo vertiginoso nel 2022, il sistema economico rischia nella sua componente finanziaria di essere sottoposto ad uno stress. Si è ipotizzato quindi che l’economia avrebbe avuto presto o tardi una fase critica da affrontare con conseguenze recessive su consumi e produzione. Tale scenario era tra i più gettonati da parte di economisti e strategist del settore in quanto balzare dallo 0% al 5.25% in 14 mesi ha rappresentato uno dei rialzi più violenti e repentini della nostra storia. Se in più ci aggiungiamo che il debito globale negli ultimi 20 anni non ha fatto che aumentare esponenzialmente, è lecito immaginarsi a quale dura prova si sia imbattuta la stabilità del sistema finanziario.
Tutto ciò però, come stiamo notando, non si è verificato. Oggi si sente parlare di “no lending”, che banalmente si traduce come nessun effetto negativo per le economie, nessuna contrazione subita e nemmeno in arrivo (quantomeno a breve).
In questo roseo, quanto inaspettato percorso delle principali economie mondiali, come si è comportata dunque l’inflazione e che segnali ci sta dando per il futuro?
La lotta per il suo contenimento ha visto le Banche Centrali tutte schierate in prima fila nel tentativo di raffreddarne gli impulsi attraverso i già citati rialzi dei tassi. La parabola dell’inflazione ha cominciato a dare segnali confortanti nel 2023 evidenziando una crescita più contenuta (ultima rilevazione del CPI è del 3.1% su base annua) con una tendenza alla stabilizzazione su questi livelli.
Ora, se da un lato fa meno paura, perché risulta ancora fondamentale monitorare questo dato?
Facendo un passo indietro di qualche anno, precisamente quando lo scenario economico vedeva l’inflazione come una componente pressoché scomparsa dai radar, i principali istituti centrali fissavano come valore di equilibrio medio prospettico l’inflazione al 2%, questo avveniva nel 2020.
Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia però. Complici un processo di de-globalizzazione, approvvigionamenti di materie prime compromessi dai vari conflitti che affliggono l’umanità, effetti post-covid che hanno stressato gli equilibri tra domanda e offerta di beni e non ultimo le politiche economiche di rimpatrio delle filiere produttive, le pressioni al rialzo sull’inflazione forse ci spingono a rivedere il dato “strutturalmente” più elevato. Non è da escludere che questo sia un tema che dovranno affrontare le stesse Banche Centrali…
Capire quindi dove vada a finire l’inflazione ci dice proprio questo. Ci aiuta a capire a quale livello i tassi verranno fissati. La previsione di fine 2023 di un taglio corposo durante il 2024, dichiarata dallo stesso Powell in scia ad un susseguirsi di rilevazioni del dato inflattivo sempre più confortante e contenuto, oggi suona indubbiamente come eccessivamente ottimistica. 
Anche in Europa in febbraio il dato core è sceso solo al 3,1%, dal 3,3% di gennaio, contro il +2,9% atteso dagli analisti.
Mentre l'inflazione di base dei beni continua a essere debole, preoccupa la dinamica dell'inflazione dei servizi destagionalizzata che è salita allo 0,51% (ipotizzando una stagionalità simile a quella dell'anno scorso). Indipendentemente dalla prospettiva, si tratta chiaramente di un dato molto forte sull'inflazione dei servizi duro da scalfire in quanto supportato da una domanda molto robusta.
C’è da chiedersi cos’altro possano fare le autorità monetarie che non abbiano ancora fatto.
Quello che è certo è che possano fare marcia indietro e non tagliare i tassi, specie se le prossime rilevazioni saranno progressivamente superiori a quelle attuali. Oltre ai fattori accennati sopra che stanno generando un’inflazione strutturale più “corposa” rispetto a quella impalpabile che per una quindicina d’anni ci aveva accompagnato senza mai dar segni di vita nemmeno di fronte alle più sfrenate politiche monetarie espansive, stanno contribuendo al suo rafforzamento anche l’aumento dei salari che cominciano a registrarsi in tutte le economie occidentali.
L’atteggiamento “data dependent” delle Banche centrali non permette di fare previsioni durature, neppure per lo stesso Powell, che già nel 2021 ci ha dimostrato quanto possano essere ingannevoli le aspettative sull’inflazione.
In conclusione, il risveglio dell’inflazione di questi ultimi anni cambia alcuni equilibri per il risparmiatore, aprendo opportunità sul mercato obbligazionario a lungo anestetizzato dall’assenza di interessi, ma di fatto insegna ancora una volta che qualunque sia lo scenario che si profila, il mercato ci può stupire. Non è mai solo una variabile a condizionarne le sorti. A mischiare le carte e a ridare entusiasmo alle Borse ci ha pensato l’esplosione dell’AI che ha spinto al rialzo le previsioni sugli utili di diverse aziende… ma probabilmente anche tanta FOMO.

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