AGGIORNAMENTO MERCATI: globalization never dies


L'indiscussa posizione dominante degli Stati Uniti sul panorama economico mondiale vissuta negli ultimi vent'anni è messa a dura prova in questi ultimi anni dall'emergere di economie in qualche modo sempre più autosufficienti e pronte a scrivere la loro storia emancipandosi dall'egemonica presenza del principale player di mercato del pianeta.
Abbiamo vissuto altalenanti tentativi da parte del governo americano di racimolare quanto più possibile a sostegno di un bilancio pubblico sempre più in rosso. La posizione di dominio apparentemente lasciava presupporre inizialmente che ancora una volta gli Stati Uniti sarebbero stati in grado di orientare a loro piacimento le trattative, ma così non è stato. 
È sempre più evidente come gli intrecci creatisi in tanti anni di libero scambio abbiano piantato radici profonde in paesi stranieri per le multinazionali americane, tali da generare conseguenze disastrose per l’intera economia se qualcosa dovesse minarne l’equilibrio. Per non parlare del sostegno estero al debito USA…
La marcia indietro di uno sconsiderato e avventato Donald ha inoltre compromesso un aspetto su cui poggia la fiducia degli investitori: la credibilità. 
Se alla vigilia del mandato presidenziale l’unico serio problema che poteva affliggere l’economia americana era rappresentato dal debito e dai suoi conti pubblici, ora forse si dovrà lavorare per ristabilire nuovamente fiducia nel sistema. Troppe dichiarazioni prive di logica, vere e proprie “banfate” da parte di chi dovrebbe essere esempio di serietà e competenza.
Il freno a mano sugli investimenti societari a sostegno di un’espansione economica si sono fatti sentire nell’ultimo trimestre. Troppa incertezza nell’aria per capire cosa e dove sia meglio investire. 
I dati sull’occupazione in realtà reggono, ma l’incertezza è palpabile e avvolge come una coltre sottile le reali prospettive economiche. 
Di altro avviso è l'inflazione, dato che in questi giorni è passato in secondo piano visti gli avvenimenti geopolitici che coinvolgono Israele e l'Iran. L’inflazione, infatti, ha un suo passo stabile e quasi indipendente da tutto il resto. La registrazione di un paio di giorni fa della crescita dei prezzi al 2,4% rispecchia le attese di mercato. Se aggiungiamo il fatto che Trump continui a retrocedere rispetto alle intenzioni originali sui dazi, potremmo concludere che non ci dobbiamo aspettare grosse variazioni del suo percorso. 
Dello stesso avviso è anche Powel tutt'altro propenso ad allentare il costo del denaro nei prossimi mesi e ancora una volta ancorato al concetto del “data dependent”
E quindi cosa aspettarsi per la seconda parte nell'anno dai mercati?
In assenza di shock davvero inaspettati (e mi sentirei di escludere l'ennesimo nuovo conflitto che si sta profilando), al netto di probabili prese di beneficio nelle prossime settimane, i mercati potrebbero spingersi verso nuovi massimi beneficiando in primo luogo di politiche fiscali benevole e di nuove ondate di progresso in arrivo dal fronte IA.
Ancora un cenno doveroso al dollaro detrattore di performance degli asset azionari per noi europei.
Ci stiamo avvicinando alla possibilità di un percorso di svalutazione che potrebbe raggiungere livelli solo qualche mese fa inaspettati. Supporti tecnici che qualora violati potrebbero invertire la tendenza avviata dal 2008 in costante apprezzamento quasi incontrastato. Pertanto dagli asset obbligazionari in dollari consigliamo di stare ancora lontani, mentre invece il debito europeo specie corporate rappresenta un valido tassello remunerato di contenimento della volatilità.
Il mondo azionario invece sebbene possa vivere un processo meno americo centrico nei prossimi anni come già accennato più volte non può fare a meno della componente americana.
La facilità di generare previsioni col mandato Trump si è complicata e questo è fuori di dubbio. Resta però uno scenario di fondo non così pessimistico e questo deve accompagnare le nostre scelte.


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