AGGIORNAMENTO MERCATI: Trump e il caos. Ragioni, conseguenze e contromosse dell’investitore


Verrebbe da dire: “la festa è finita”.In un certo senso è proprio così. O perlomeno occorre inventarsi qualcosa per tentare di mantenere alta la barra della crescita e dei consumi senza rischiare di dare il giro.
Per più di un decennio abbiamo assistito ad un divario sempre più marcato tra gli USA e il resto del mondo in termini di crescita, consumi e listini delle borse. Il miracolo americano ha delle spiegazioni piuttosto semplici. Ancora una volta l’aumento del debito pubblico ha sostenuto politiche fiscali ultra accomodanti che hanno sospinto consumi e investimenti creando un clima di fiducia e plasmando l’idea di un eccezionalismo americano duraturo e incontrastato.
Tutto questo mentre in altri angoli del globo si era alle prese con la risoluzione di altri problemi.
Il denominatore comune di essi, guarda a caso, spesso aveva a che fare proprio col debito. L’Europa in piena crisi di identità optava per un’austerità dei conti, sospinta dall’asse franco-tedesco, tirando la cinghia a quei Paesi meno virtuosi e insostenibilmente indebitati: Grecia e Portogallo su tutti. 
Leggo recentemente del “miracolo” greco decantato da molti. Forse però ci dimentichiamo a quale prezzo sia stato pagato. Debito ristrutturato, risparmi, stipendi, pensioni, potere d’acquisto delle famiglie collassati, con conseguenti tumulti sociali e tasso di suicidi a livelli record. Forse il miracolo attuale poteva essere costruito dando un po’ più di speranza e solidarietà da subito. Crescita e riqualificazione economica non era al centro dei pensieri della Troika una quindicina d’anni fa…
Il Giappone anch’esso alle prese con la sua ventennale svalutazione interna e una trappola della liquidità ancora oggi complessa da gestire. Risultato: Debito/Pil record e Borse in stallo dagli anni 90 per quasi 30 anni.
Anche la Cina ha dovuto fare i conti più di recente. Sospinta da una crescita trainata prevalentemente dal settore immobiliare ha convogliato per un decennio risparmi e indebitamento privato in un vicolo cieco, destinato ad esplodere con la paralisi del Covid e gettando l’economia del Dragone nel panico e nelle mani del Governo.
Mentre tutto il mondo pensava a leccarsi le ferite gli USA viaggiavano a gonfie vele, rendendo sempre più attraenti i loro porti. Unici baluardi di crescita economica sul panorama mondiale.
Quando arriveranno sfide e difficoltà anche per loro? Domanda lecita da porsi alla luce soprattutto d alcuni alert comparsi nei primi mesi dell’anno.
Le azioni americane hanno battuto per performance il resto del mondo in ben 13 degli ultimi 15 anni, ma nel 2025 qualcosa è cambiato, complice il deprezzamento del dollaro tanto gradito alla Casa Bianca. L’amministrazione Trump ha lasciato intendere che non disprezzerebbe un dollaro meno caro come strumento di riequilibrio del disavanzo commerciale americano. 
Che questo alla lunga rappresenti una soluzione concreta però è tutt’altro che scontato. Gli Stati Uniti però crescono sì più degli altri ma producono sempre meno. Il Pil statunitense è sostenuto prevalentemente dai consumi e non certo dall’Export. La discesa del dollaro a livello aggregato impatterebbe negativamente su consumi, costi aziendali (e quindi profitti) e di conseguenza sulle casse pubbliche, nonché ancor peggio sulla fiducia generale. 
Riportare l’aumento della produttività interna, obiettivo sbandierato da Trump in entrambi i suoi mandati, avrebbe un costo iniziale esorbitante per i colossi americani, che difficilmente giustificherebbe i valori azionari attuali e gli utili prospettici.
Debito e disavanzo però restano e la politica dei dazi non basterà nemmeno nelle battute iniziali a migliorare la situazione.
Ad aprile le entrate da dazi doganali hanno raggiunto un valore annualizzato di oltre 187 miliardi di dollari. Anche se il ritmo iniziale fosse mantenuto e anzi incrementato, 200-250 miliardi di dollari sono ben poca cosa rispetto ad un deficit federale da 2 trilioni di dollari.
Insomma Trump è alla Casa Bianca per risolvere problemi. Probabile non sia l’uomo giusto... ma questa è la sua mission. Si dovranno inventare qualcosa prima di dover imbracciare anche loro la linea dell’austerity. Non essendo più in voga ultimamente il passaggio attraverso la sofferenza per il raggiungimento di un bene futuro non è da escludere bizzarri tentativi di tenere a galla il transatlantico con soluzioni per così dire alternative, tipo il supporto del mondo delle stablecoin e di una crescente cripto-finanza, guarda a caso tanto cara al Presidente.
Qualcosa potrebbe andare storto no? 
A noi tocca fare i conti e provare a intravedere in anticipo i cambiamenti radicali. La sensazione è che forse l’azionario USA possa aprire delle crepe o quantomeno i nostri asset abbiano di nuovo bisogno di una revisione meno americo-centrica nonostante il recente passato ci suggerisca il contrario.
Sebbene abbiamo nei post precedenti sottolineato come l’azionario americano avrebbe reagito dai minimi di aprile, sul dollaro invece continua la nostra sensazione alquanto pessimistica per il futuro. 
Oro e Bitcoin sono l’esempio lampante di come ci si stia, a livello globale, proteggendo dal rischio di una forte svalutazione del dollar index, probabilmente solo alle battute iniziali…
Una valuta che si svaluta mentre i tassi di interesse aumentano è fenomeno tipico delle economie emergenti, segnale di timore sull’insostenibilità del debito. Cambi di tendenza del dollaro sono fenomeni in passato di ampia durata e di maggior profondità dai livelli attuali. Se ci aggiungiamo la probabilità di futuri tagli da parte della Fed, magari non immediati ma attendibili e la sempre più complessa possibilità di attuare dispendiosi stimoli fiscali da parte delle future amministrazioni americane, il dollaro potrebbe anche perdere quel premio finanziario rispetto alle altre valute forti.
Concreta è quindi la parabola discendente della valuta più scambiata nel sistema. 

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