QUAL È IL CORRETTO PROFILO DI UN INVESTITORE MODERNO? Breve guida alla soddisfazione sui propri risparmi


La lecita richiesta che in vent’anni i clienti mi hanno spesso sottoposto è stata quella di rischiare poco e guadagnare almeno qualcosa in più rispetto all’inflazione.
Il problema è stato inquadrato dal punto di vista della gestione del rischio aumentando la componente obbligazionaria nei portafogli consci del fatto che il denaro investito sarebbe ritornato a distanza nelle tasche dei clienti con un tasso di interesse aggiuntivo. Un concetto sacrosanto che però si è scontrato con rendimenti non al passo con l’inflazione. In fondo solo chi ha saputo inserire una importante componente azionaria ben si è potuto ritenere soddisfatto. Ma se andiamo a vedere quanti investitori si siano rivelati coraggiosi rispetto alla totalità, costoro rappresentano una minoranza soprattutto nel nostro Paese.
Ancora oggi le paure sono sempre le stesse. “Con le azioni rischio di perdere tutto”, “Non ci sono garanzie di guadagno”, “L’economia non va più bene come una volta”.
In queste affermazioni esiste un fondo di verità che però si scontra ormai da troppo tempo con una realtà che parla di opportunità finanziarie non colte, crescita delle Borse e degli utili delle società che le rappresentano pressoché costanti, con qualche relativamente brevi battute d’arresto. 
Proprio questi strappi repentini e alla lunga insignificanti però restano nel cervello del risparmiatore, trascinato nel panico dal rumore mediatico a tinte apocalittiche.
Investire su titoli di stato o sul debito “sicuro” americano sta di fatto che ha reso annualmente un terzo rispetto all’indice S&P, che negli ultimi 20 anni è cresciuto dell’11% su base annua.
Mentre giornali e fantomatici guru profeti di sventure chiamano recessioni imminenti di anno in anno, i mercati avanzano inarrestati rilasciando insegnamenti poco intuitivi ai più su come esso si muova e quali siano le variabili che maggiormente lo influenzano. 
La dicotomia tra economia e finanza, riscontrabile solo più sui testi universitari, ha consolidato ormai la sua divergenza o quantomeno potremmo affermare che la finanza brilla da tempo di luce propria. Un tempo strumentale alla prima, ora soggetta a logiche molto più articolate, va studiata, ne va accettata l’importanza e compreso il peso specifico che esercita sul sistema economico.
Conoscere per non aver paura, vale un po’ dappertutto. È ora (lo era già da un pezzo ovviamente) di parlare con chi è aggiornato e offre un servizio di investimento oltreché di pianificazione finanziaria istruttivo, in grado di smussare paure e diffidenze che ci portiamo dietro da un pezzo.
Qualche spiegazione del fenomeno sopradescritto. 
Gli attuali indici azionari sono perlopiù composti dalle società più rappresentative del mercato (le cosiddette maggiormente capitalizzate) che di fatto dominano i vari settori dell’economia. Tali aziende, oltre a guadagnare fette di mercato, macinano utili crescenti grazie all’utilizzo della tecnologia e alla posizione di monopolio acquisita. Se l’economia globale a volte vacilla, loro subiscono meno o addirittura se ne avvantaggiano avendo molta più liquidità degli altri. Se compro un indice o un fondo, di fatto compro loro. Aberrante semplificazione? Può darsi. 
Resta però il fatto che non convince nemmeno comprarsi il debito, spesso a tassi reali negativi, e rinunciare a partecipare agli utili di chi comanda il mercato e cresce costantemente. 
A che prezzo? Un po’ di volatilità ogni tanto… 
E se questa logica dovesse sovvertirsi? Se il mercato dovesse scendere per anni? È uno scenario plausibile. Ovviamente come si suol dire tutto è possibile. Ma se davvero dovesse verificarsi una situazione del genere si spegnerebbe la luce nel vero senso della parola. Sarebbe il caos che polverizzerebbe la fiducia collettiva, elemento cardine della convivenza e della civiltà. 
Un rischio che le Banche Centrali e le istituzioni non possono permettersi di correre e che già hanno scongiurato a suo tempo in alcune occasioni.
Il popolo americano investe mediamente dal 60% all’80% dei risparmi in azioni. Spregiudicati? O lungimiranti? Per ora hanno ragione loro...



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